Nelle nostre scuole ci vorrebbero docenti che si fanno rispettare

Anni o decenni fa non è che la scuola fosse un paradiso terrestre o uno zoo di animali addomesticati che agivano secondo le grida o le frustate. C’erano anche allora dispetti, qualche gomitata, qualche pedatone sotto il banco, e guai a chi mostrasse di essere stato vittima di una violenza. Finiva per provocare una nuova violenza di cui era lui la vittima.
Il «fare giustizia» era riservato a quando si spalancavano le porte delle aule: dopo te le do, e partivano urtoni e ceffoni sonori, senza, però, che il maestro o il professore sapesse nulla, e nemmeno i genitori; diversamente scattava un supplemento di urla e di sberle.
Oggi si è evoluti un poco in tutto: non si aspetta che si alzi la voce per provocare una lite; semmai si segnala la volontà di qualche pugnaccio da riservare a tempo debito. E il pugnaccio - o la zuffa - arriva puntuale; e il tempo debito non è necessariamente quello che scatta dopo il suono della campana della fine della lezione. Non necessariamente la guerra è dichiarata: la si inizia e chi vince vince; sennò si esce con gli occhi blu. Non basta. Talvolta la bagarre scatta anche tra alunni e docenti. Il gradino della cattedra non serve più a dare autorità. Alzano la voce anche docenti di spicco, poiché sembra che non si riesca diversamente a farsi sentire. E non è detto che l’alterco cessi all’improvviso e del tutto.
La stampa un po’ civettuola e pettegola si diverte anche a riferire con tutti i particolari del caso anche gli arrembaggi di qualche alunno o dell’intera scolaresca nei confronti dei docenti, quand’anche non sono i docenti stessi a provocare qualche bailamme perché magari qualche professoressa o qualche maestra si spoglia e si stende lungo la cattedra. Cose non inventate. Dopodiché, si capisce che scoppia l’ambaradam tra gli scolari.
Il problema concerne in primo luogo i genitori. Non è possibile educare dei figli mettendoli contro gli educatori. E per suscitare rispetto verso gli educatori bisogna essere educatori a propria volta. In certi casi sembra che siano alcuni genitori da mandare a scuola: anche elementare. Poi è da vedere l’atteggiamento che tengono i docenti. Vi sono quelli che senza forzature si fanno rispettare, e allora non si danno lotte furibonde. Ce ne sono altri la cui finalità sembra essere quella di farsi accettare a tutti i costi, anche a costo di perdere qualsiasi autorevolezza, magari perché non ce l’hanno già.
Il lavoro pedagogico nei confronti dei ragazzi è un’impresa corale. Guai se nella équipe degli educatori vi sono sbreghi: un po’ tutto va a monte. Il fatto è che quando non si crea una disciplina almeno passabile, non si riesce nemmeno a trasmettere delle nozioni. Volano gli aeroplanini di carta e le parolacce e i sorrisetti di compatimento. Chi insegna può spiegare le lezioni più impegnative o più elementari: se non riesce ad attirare l’attenzione, anche la tavola pitagorica diviene impervia. Per non parlare della grammatica e della sintassi.
Il bullismo scatta quando non si riesce più a dialogare, né si lascia che il docente si esprima. Allora alla conversazione o al silenzio dell’apprendimento si sostituisce la forza. Urge ordine e severità.

Per la pace di tutti e l’apprendimento del programma scolastico.

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