Controcultura

Nello studio Tommasi dove si è scolpito il '900

Riapre la casa-museo della famiglia di artisti che da Leone a Marcello ha sfidato il Rinascimento

Nello studio Tommasi dove si è scolpito il '900

Riapre, con l'impegno straordinario di Francesca Sacchi, lo studio Tommasi di Pietrasanta. Un vero e proprio museo di un momento importante dell'arte italiana tra le due guerre. Qui una stirpe di artisti soffrì e tentò l'estremo e fatale confronto con l'età del Rinascimento, in particolare con Michelangelo. Leone Tommasi l'aveva quasi toccato, iniziando i suoi studi all'Accademia di Belle Arti di Roma con Angelo Zanelli, l'ultimo scultore classico sulle pareti dell'immacolato Vittoriano. Quel sublime magistero era ancora integro in Achille Alberti con il quale Leone si diplomò poi all'Accademia di Brera. Rientra a Pietrasanta nel 1927 e sposa Carolina Ferroni dalla quale ha quattro figli, due dei quali, Marcello e Riccardo, saranno artisti come lui. A Pietrasanta insegna all'Istituto d'arte «Stagio Stagi», e agita di forme - prima gessi, poi marmi, poi bronzi - il suo studio. I suoi sogni sono ancora lì, ne resta l'anima distribuita nei laboratori Henraux, Lapis, Santoli e Rovai, e nella fonderia del figlio Luigi.

Leone vive numinoso in Versilia, come per un'attrazione fatale, e si muove soltanto per grandi commissioni, tra il 1950 e il 1954, in Argentina, per le sculture monumentali del Palazzo dell'Aiuto sociale, per il monumento a Eva Peron, che ancora ci parla dallo studio nel gesso ripristinato da Francesca Sacchi, nipote devota; e ancora per il complesso monumentale al Descamisado e per il ritratto al cardinale Copello. A Pietrasanta accoglie in studio il sensibilissimo Mario Parri, suggerito da Annigoni come aiutante per il progetto argentino voluto dal generale Peron. Leone coltiva l'ideale di una dimensione eroica dell'uomo in tempi in cui gli eroi scarseggiano, anche se l'epos dei lavoratori ne conserva la memoria. Lui la preserva con un immane sforzo formale, talvolta vano, indifferente all'avanguardia e alle sperimentazioni che investono anche la scultura, in quegli anni, e la umiliano in pura sterile forma. Così Leone si isola nel suo studio, tra sogni e illusioni, estraneo alle tendenze e alle mode. Può interpretare, quasi in solitudine, soggetti religiosi e civili, in Italia e in ogni parte del mondo: ecco il San Giovanni Battista, in bronzo, per la cattedrale di Adelaide in Australia; l'altare di Sant'Anna, un altorilievo in marmo a Scherbrute negli Stati Uniti: il San Giovanni evangelista in marmo per la cattedrale di Messina, le storie di Sant'Agata per la cattedrale di Catania; e ancora il monumento a Simon Bolivar a Santa Marta in Colombia; il monumento Podestà nel cimitero di Staglieno; il monumento ai caduti a Genova. In Versilia, a casa, invece, realizza le sculture della facciata in marmo della chiesa di San Paolino a Viareggio; la pala d'altare in bronzo per la cappella della Madonna del Sole nel duomo di Pietrasanta; la Madonna del Cavatore a Tacca Bianca sul Monte Altissimo; il Crocifisso per la chiesa del Sacro Cuore a Fiumetto; il San Pellegrino e la Madonna della neve, in bronzo, per la chiesa di Minassana. Notevoli, negli anni Quaranta, i gessi ispirati a composizioni musicali, dalla sinfonia Pastorale di Beethoven, gruppi diversi a illustrazione dei tempi musicali, realizzati in marmo e disposti nell'Orto botanico di Buenos Aires; e dall'Apres midi d'un faune di Debussy. Corpi nudi in danza.

Brancusi, Boccioni, Arp, Marino, Moore nulla poterono scalfire dell'intatta idea del corpo dell'uomo che occupava la mente di Leone. Che sempre ritorna a Michelangelo, nel Narciso, nel Gesù che scaccia i mercanti, nel Gesù deposto dalla croce. Ancora più evidente nel Nudino.

Un altro registro significativo di Leone è quello dei ritratti, soprattutto familiari: il fratello Andrea, il fratello Luciano, la sorella Andreina, in cui si agitano memorie di Donatello, di Jacopo dalla Quercia, di Bernini, tra drammaticità e sentimentalismo, realismo e romanticismo. Alla sua morte, nel 1965, lo studio passa al figlio Marcello, nato nel 1928. Io l'ho conosciuto, antico e catafratto in un mondo che si avvia a decomporsi, precipitando nell'abisso del non senso e della merda d'artista. A Pietrasanta, Marcello Tommasi crede che tutto possa continuare, condividendo la stessa visione del mondo di Pietro Annigoni e Mario Parri, disegnando e dipingendo, mentre prepotentemente riemerge in lui il magistero del padre, l'impulso alla scultura che l'aveva portato a scrivere la tesi su Pietro Tacca. Lentamente, dopo alcuni dipinti che si allineano con la ricerca dei Pittori moderni della realtà, lascia la pittura al fratello Riccardo e si applica in tempi ingrati alla scultura, in diverse, anche notevoli, commissioni pubbliche. Vive nel suo mondo sfiorando numerosi artisti astratti e alcuni figurativi, attivi a Firenze, come Bruno Innocenti e Antonio Berti, che condividono con lui il sogno della forma perduta. Realizza molte sculture su commissioni pubbliche, tra le quali vi sono, a Firenze: la Porta in bronzo (otto formelle) per la chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi (1979); il San Giuseppe Calasanzio, in bronzo, per le Scuole Pie Fiorentine; il San Francesco, bronzo sull'acquasantiera, per la Basilica di Santa Croce (1986); Resurrezione (dedicato a Giorgio La Pira), bronzo, in via Ripalta alla Nave, a Rovezzano; il Battesimo di Gesù, altorilievo, per la chiesa di San Marco Vecchio (1979). E ancora: Carolina, bronzo, in Place Perné, a Parigi (1968); Fontana della Libertà, bronzo, in Place Blum, a Parigi (1978); Ilaria, bronzo, all'ingresso del comune di Charenton-le-Pont, in Francia. In Toscana: Fontana per Osvaldo Martini (1981) e Deposizione e Resurrezione (1982) per la Cappella Martini, a Castelfranco di Sotto, Pisa; Alcione, altorilievo in bronzo, alla Cassa di Risparmio di Prato (1986); Crocifisso, bronzo, per la Chiesa di San Paolo, a Prato (1985). Un vita intensa e operosa.

Nello studio di Pietrasanta Leone e Marcello continuano a vivere, e i loro gessi non sono memoria ma presente. Li ha riportati alla vita Francesca, in uno studio che è letteralmente come uno specchio in cui i corpi si intrecciano e si riproducono sul pavimento di resina trasparente cristallina, distesa dal fraterno Gobbetto, la stessa che il nuovo ospite, Gaetano Pesce, ha utilizzato per le sue fantasiose sculture, ornamenti, gioielli, ghirlande, tuniche, bracciali, collane e vasi di molteplici forme e colori, in contrasto con il biancore dei gessi e il sentimento del tempo. I piccoli splendenti monili sono indossati da un corteo di fanciulle, rianimate e parlanti: Carolina (moglie di Leone), Maria Grazia (moglie di Marcello), Ilaria e Carolina (figlie di Marcello), Anna e Costanza (nipoti di Marcello), bambine, adolescenti, ragazze, donne. E poi Evita Peron, regale (di Leone), e la piccola, tenera Francesca (nipote di Marcello). Pesce le restituisce alla vita, all'istante. Evita torna viva, Francesca torna bambina. Adesso tempo e spazio non vogliono dire più niente, tutto accade in un solo momento, in un eterno presente dove Michelangelo, Leone, Marcello e Gaetano convivono e dialogano, in un'estensione senza fine del pensiero artistico che ha un solo nome: vita. Ed è, come tutta l'arte, e nell'entusiasmo di Francesca, vita contro la morte.

Sembra una coincidenza voluta. Esce in questi giorni in Italia l'opera postuma di Elias Canetti, Il libro contro la morte (Adelphi): ed è un trionfo dello stesso pensiero che ha attraversato e attraversa le vite dei tre scultori che si sono incontrati nello studio Tommasi: «La mia ingiustizia di fondo verso gli uomini deriva dal mio atteggiamento nei confronti della morte. Non posso amare nessuno che accetti la morte o la metta in conto.

Amo - comunque egli sia - colui che aborrisce la morte, che non l'accetta e non la utilizzerebbe mai e in nessuna circostanza come mezzo per conseguire i propri fini».

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