Il Nobel a Obama? Risarcimento olimpico con annessa piaggeria

Caro Paolo, che dire se non che il premio per la pace conferito a Barack Obama è il massimo del politicamente corretto? Viene difatti attribuito a un nero, a una persona ritenuta «di sinistra», ritenuta pacifista, ritenuta riformatrice senza che questa persona abbia finora conseguito alcun tangibile risultato con la propria azione politica. Obama è un ottimo attore, parla molto bene e non conclude un bel niente. Sempre meglio, comunque, di altri Nobel per la pace scelti tra ex terroristi di certo non pentiti.

In questo caso non parlerei di correttezza politica, caro Mauro, ma di servilismo, di popolana piaggeria. E di conformismo. Per i tutankamon dell’Accademia delle Scienze di Stoccolma il Nobel per la pace è ormai solo un jolly col quale omaggiare (e remunerare) un personaggio alla moda. Ieri Al Gore, che con la pace c’entra come i cavoli a merenda, oggi Barack Obama che magari un domani o un dopodomani per la pace farà magari qualcosina, ma a tutt’oggi un tubo, ha fatto («Do-nothing president», presidente bighellone, scioperato, sfaticato: ecco come la società civile americana - c’è anche là, mica è monopolio nostro - comincia a chiamare Obama). Si legge nella motivazione tutankamonesca che il guiderdone è stato assegnato al presidente Usa «per i suoi sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli» e questa è davvero grossa perché di sforzi non se n’è visto nemmeno mezzo e nemmeno di ordinari, figuriamoci quelli straordinari. Rendendosi conto d’averla fatta grossa, il presidente dei Tutankamon, Thorbjoern Jagland, ha cercato di metterci una pezza, risultata peggiore del buco: «Il premio può sembrare prematuro - egli ha dichiarato - ma per statuto il premio va assegnato a chi ha fatto il massimo per la pace nell’anno precedente». Come se nel 2008 Obama si fosse fatto in quattro per pacificare il pianeta: impegnato com’era nella campagna elettorale, glie ne fregava assai, della pace. Quel che si dice in giro (e che in un certo senso ha confermato il capo dello staff della Casa Bianca, Rahn Emanuel) è che per salvare l’onore scandinavo i tutankamon norvegesi abbiano voluto riparare allo sgarbo danese: fu a Copenaghen, infatti, che qualche settimana fa il Cio assegnò i giochi olimpici al Brasile, snobbando Obama e la sua signora che si erano recati in loco per sostenere la candidatura della super-obamica Chicago.
Non ci son santi, caro Mauro: il Nobel per la pace assegnato a Barack Obama è l’ultima tremenda mazzata sferrata dai tutankamon al prestigio del riconoscimento, per altro già al lumicino. Riconoscimento che viene conferito alla carlona - vedi Dario Fo - o per ragioni che nulla hanno a che vedere con la natura e lo statuto del premio. Ricordi, caro Mauro, quando sorprendentemente furono assegnati i Nobel per la letteratura a Rigoberta Menchù, leader degli indiani guatemaltechi e a Derek Walcot, poeta caraibico nero? Di fronte allo sgomento generale per una scelta non confortata dal valore (non parliamo di notorietà e dunque di diffusione delle loro opere) dei due carneadi, l’Accademia tutankamica delle Scienze si piccò di precisare che nella scelta non si era tenuto conto delle opere letterarie, ma della volontà di «rendere onore a persone vittime del retaggio coloniale di Cristoforo Colombo».

Valga allora anche per il Nobel l’ammonimento di Leo Longanesi: non basta rifiutarlo, bisogna proprio non meritarlo.
Paolo Granzotto

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