Economia

Non bisogna ripetere gli stessi errori del ’92

Le cause del crollo borsistico di lunedì, anche in una fase meno acuta, vanno ben ponderate. Tra queste, primaria è la fragilità dell’asse franco-tedesco

Non bisogna ripetere  gli stessi errori del ’92

Le cause del crollo borsistico di lunedì, anche in una fase meno acuta, vanno ben ponderate. Tra queste, primaria è la fragilità dell’asse franco-tedesco, evidente quando Atene dopo la sigla di accordi di massima, annuncia un improvviso referendum generando il caos. Chi chiede di farci commissariare da una guida così, prepara un destino d’inferno.
Nel 1992-1993 Parlamento e governi sotto tutela internazionale attuarono politiche d’emergenza con alcuni risultati sul momento, ma preparando cali di produttività strutturali, carenze d’investimenti, privatizzazioni senza liberalizzazioni, fiscalità divisiva della società. E allora Europa con i Kohl e i Mitterrand, e Stati Uniti con i Bush senior e i Clinton avevano leadership solide.
Salvarsi nell’immediato dandosi anche un futuro è possibile solo con un governo politico che risponda al popolo e assuma strategie non solo emergenziali, ma anche di prospettiva.
Non è semplice: la magistratura «combattente» ha ben destabilizzato le istituzioni della sovranità popolare. E abbondano topini nel formaggio che nella crisi cercano fettine da sgranocchiare: si è arrivati persino a firmare appelli con George Soros, già devastatore della lira.
Il lavorìo di corpi separati, élite antipopolari, nomenklature e piccoli establishment ha indebolito la nostra autonomia nazionale, ancor più preziosa in presenza di leadership globali così fragili. Ciò si constata anche in casi minori: da Edison, ormai controllata da una società dello Stato francese, a Lorenzo Bini Smaghi che ascolta più la Bundesbank che il suo governo e il presidente della Repubblica.
La crisi attuale non si risolve con una salvifica uscita di scena di Silvio Berlusconi, propiziatoria solo di una resa incondizionata della sovranità popolare e nazionale. Governi tecnici, maggioranze di transfughi e topini consegnerebbero le chiavi della nazione a chi non ha neppure un disegno strategico. Nessun Carlo V all’orizzonte.
L’alternativa è tenere duro senza però arroganze, riflettendo con le persone di buona volontà: positivi in questo senso i segnali di Matteo Renzi e Sergio Chiamparino; Pier Ferdinando Casini dopo primi opportunismi sulle «macellerie sociali» - magari più responsabile dopo la condanna, forse insensata ma sicuramente esagerata, a tre anni e mezzo di Francesco Gaetano Caltagirone per le vicende Bnl - propone confronti più costruttivi. Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti pur impegnati dal «dovere» di trattare con assoluto scrupolo le forme di licenziamento (con precisazioni importanti da parte del segretario della Uil), rilanciano su tagli alla politica e strategie anti-evasori, terreni per buone intese. La Confindustria forse si è resa conto come il primo problema non sia inseguire la Cgil (né Luca Cordero di Montezemolo).
In mezzo a una dura tempesta s’intravede una rotta da intraprendere.

Per buone scelte è comunque indispensabile la coscienza che non vada ripetuto il ’92: per una volta ci si può comportare da colonia, la seconda volta si cederà strutturalmente.

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