Cultura e Spettacoli

"La musica classica? Era morta ed è rinata"

Allievo di Luciano Berio, nipote di un presidente della Repubblica, figlio di un grande editore, scrive composizioni che sfidano ogni etichetta: «Il suono è trasversale, è una lingua che parla del mondo. Come facevano Mozart e Strawins...

"La musica classica? Era morta ed è rinata"

Frasi sospese, silenzi. Vaporosità, ombre e luci nordiche. Melodie che girano in tondo, ipnotiche e sognanti. Questo stile ha fatto la fortuna di Ludovico Einaudi, pianista e compositore. Sessant'anni il prossimo 23 novembre, è figlio dell'editore Giulio e nipote di Luigi, di fatto il primo presidente della Repubblica italiana. Un avvio jazz, studi classici, frequentazioni di teatri e sale come la Scala e la Royal Albert Hall, ma anche di manifestazioni come l' iTunes Festival di Londra in compagnia di Amy Winehouse, Mika e Lady Gaga... Una montagna di dischi venduti. Brani finiti nelle colonne sonore di celebri film («Quasi amici»). Pubblico e critica divisi in due, di qua ammiratori incondizionati, di là detrattori incalliti. Quest'estate ha portato in giro per le arene d'Italia il penultimo disco, In a Time Lapse , una delle tappe significative è stata il Festival lirico di Macerata nella sezione Off. Einaudi è inclassificabile, versatile senza confini, un po' classico, un po' jazz, un po' new age. Un po' Off, appunto.

La sua estate 2015 è segnata da un tour nelle arene d'Italia. Lei ama i bagni di folla?

«Mi piace l'idea di suonare in luoghi che abbiano una cornice storica, il caso dello Sferisterio di Macerata. D'estate, poi, si crea un'atmosfera speciale, intrigante per chi sta sul palcoscenico ma anche per il pubblico. Recentemente sono stato in Inghilterra, in una tenuta alle porte di Oxford, anche lì si è creata un'atmosfera magica. Trovo affascinante la combinazione di atmosfere estive con le architetture cariche di storia».

È finito nel cartellone, pur Off, di un festival lirico. Le piacciono le contaminazioni...

«Certo che sì. Più che di contaminazioni, parlerei però di operazioni trasversali».

Lei stesso definisce la sua musica «trasversale». Che sta per...?

«Con il termine voglio esprimere l'idea d'apertura. In questo senso, anche Mozart è trasversale».

Mozart?

«Sì, e pure Strawinsky. Entrambi hanno scritto musiche che vanno oltre la sfera classica, pura e ortodossa, abbracciando il folclore. Creano collegamenti con altri mondi. Non hanno scritto una musica chiusa in se stessa, ma stratificata. Che è poi l'obiettivo del mio comporre».

Comporre in modo stratificato: cosa vuol dire?

«Vuol dire creare un linguaggio che contenga memorie di cose che vivo e ascolto, amalgamate e rimodellate, un insieme di suggestioni di ciò che amo».

Che cosa si augura di suscitare in chi l'ascolta?

«Vorrei che la mia musica provocasse una scintilla».

Quali artisti hanno avuto questo effetto su di lei?

«Ultimamente l'architetto danese Olafur Eliasson. Ho trovato geniale la sua installazione alla Tate Gallery, un bagno di sole in un luogo chiuso come la Tate. In questi mesi mi sento quasi soggiogato da un libro come Gli Elementi di Euclide».

Mondi lontani tra loro.

«È importante cogliere spunti da contesti diversi, meglio ancora se opposti, per poi assimilarli al proprio lavoro. Bisogna tenere la testa sempre aperta, pronti a cogliere le diverse sollecitazioni e fonti di ispirazione».

Quindi è Euclide la fonte di ispirazione di questo periodo?

«Effettivamente è l'ispirazione scientifica a dominare il progetto cui sto lavorando».

Un nuovo disco in arrivo?

«Se tutto va bene, sarà in circolazione dal 18 ottobre, sempre per l'etichetta discografica Decca. Ci sto ancora lavorando quindi è prematuro parlarne».

Ci dica almeno il titolo...

«Si chiamerà Elements . E all'uscita discografica seguirà un tour, con debutto in novembre a Parma».

Mentre le tappe di Macerata e Caracalla erano centrate su «In a Time Lapse».

«Sono state la conclusione del lungo tour iniziato nel 2013. Nel frattempo il progetto si è evoluto, raffinato, il gruppo con cui ho concluso il mio viaggio musicale aveva raggiunto un livello di affiatamento incredibile».

Uno dei temi portanti di «In a Time Lapse» è il tempo. Ha detto che «solo quando ci rendiamo conto di quanto il tempo è limitato, lo canalizziamo verso le cose che contano veramente». Ovvero?

«Nel momento in cui decidiamo di vivere la vita fino in fondo, la prendiamo o la riprendiamo in mano evitando di farcela scivolare addosso. Ogni tanto pensi di avere il controllo della situazione, ma poi ti risvegli e vedi che non è così, quindi scatta un qualcosa che ti riporta alla realtà, e reagisci».

C'è qualcosa di personale in tutto questo?

«In parte. Io ho sempre cercato di vivere fino in fondo. Forse da giovanissimo non fu esattamente così, come capita a tanti giovani si vuole capire meglio, si attende. Il rischio è che quell'attesa diventi uno stato d'esistenza: si aspetta ciò o chi non arriverà mai».

Si direbbe che il pericolo è stato poi sventato...

«Sì, poi sono entrato nel vivo dell'azione. E mi sono ritrovato».

I suoi studi sono stati ortodossi, così come tante frequentazioni artistiche. Cosa la intriga del mondo della musica classica? Cosa invece non la convince?

«Il mondo della musica classica ha molte sfaccettature. Mi piacciono le istituzioni che dimostrano apertura, non troppo abbottonate, dove si sente il respiro della vita. Ci sono stati periodi in cui la classica aveva preso le distanze dal mondo e dalla vita, col risultato che la gente più giovane si era allontanata. Però c'è stata un'evoluzione rispetto al passato. Sono convinto di una cosa: dove l'approccio alle cose è diretto, la risposta arriva prima e meglio».

Ha detto che «la musica popolare è il sangue che scorre dentro le mie vene». Che cosa voleva dire?

«La musica popolare rappresenta la vita di tutti. È come la lingua che parliamo quotidianamente. Lì scorrono i sentimenti e le emozioni vere. Per questo affascina. È genuina e sincera, diretta. Musicisti come Strawinsky e Mozart lo capirono e sono stati grandi anche perché hanno saputo nutrirsi della quotidianità, trasferendola nella propria arte. Credo che in musica debba esserci un'elaborazione intellettuale, che va benissimo, ma l'arte per essere tale deve poter contenere tutto: la mente, il cuore, il corpo. Quando tutte queste componenti sono assieme, è il massimo».

Einaudi è un cognome importante. È stato uno sprone o un freno?

«Da ragazzi, un cognome così può pesare un poco. Poi, nel momento in cui si trova la propria strada, che nel mio caso era pure diversa da quella della politica o dell'editoria, allora si sgombra il campo d'ogni preoccupazione, e si procede convinti».

Che cosa ricorda delle frequentazioni di casa Einaudi?

«Ho un ricordo molto vivo delle visite di Italo Calvino. Era una sorta di zio, rispetto ad altri scrittori era molto attento al mondo dell'infanzia. Voleva sempre scambiare qualche chiacchiera con noi bambini. Dal padre aveva ereditato la passione della botanica, così ci portava piantine misteriose, da Paesi lontani, spiegando come accudirle e farle crescere. Non parlava mai di libri, ma di fotografie, di fiori, di piante...».

Ci sono trascorsi musicali nella sua famiglia?

«Da parte di mia madre. Lei suonava il piano e suo padre, Wando Aldrovandi, era un direttore d'orchestra».

L'incontro determinante della sua carriera quale è stato?

«Quello con il mio maestro Luciano Berio. È stato il punto di svolta, mi ha aiutato a trovare la direzione giusta. Mi ha insegnato tante cose. Peraltro anni fa tenne a battesimo il mio primo lavoro per orchestra, in Trentino. Mi ha sempre incoraggiato».

Lei ha detto che per concentrarsi davvero, non c'è bisogno di guardare fuori. Ma di guardarsi dentro. Eppure alcuni dischi sono nati da viaggi. Penso al viaggio in Africa, per esempio.

«Verissimo. Ma tutto dipende dai periodi. In questa fase, per esempio, ho bisogno di viaggiare dentro».

... accompagnato da Euclide...

«Esattamente».

Come è la vita del compositore Einaudi? Artista tutto sregolatezze o di quelli che fa ferrei programmi?

«Ho giornate piene di cose e impegni, con programmi che si spingono fino al 2017. Quindi sì, è tutto molto programmato... Però mi ritaglio del tempo per stare anche nella mia casa di campagna, nelle Langhe».

L'area del Barolo come buen retiro...

«Da sempre. Tra l'altro proprio in questi anni sta vivendo un periodo di ripresa e ricchezza, la cosa mi rende felice».

Il suo Barolo preferito?

«Quello di Mascarello, mio grande amico e grande produttore.

Straordinario come il suo vino».

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