Non elemosine ma manager per la cultura

Mimmo Di Marzio

Non si può negare che Giuseppe Sala sia un sindaco fortunato. Aveva appena finito di lanciare appelli accorati ai «privati» affinché si decidessero a «investire sulla cultura pubblica», ed ecco arrivare su un piatto d'argento una nuova mostra chiavi in mano in gran parte finanziata dalla casa di produzione Skira. L'esposizione di Manet che dal Musée d'Orsay prenderà la strada di Palazzo Reale anziché quella di Torino, sembra d'altronde confezionata apposta per una politica culturale consona alle mostre «blockbuster». Almeno per quanto riguarda l'arte, la politica dell'appalto ai privati - siano esse fondazioni come il Sole 24 Ore oppure case editrici come Skira ed Electa - risulta essere la regola: massimo risultato in termini di visitatori e minimo sforzo in quanto a produzione. Ancor più fuori luogo è dunque sembrata la questua ai privati che dovrebbero sostenere i progetti culturali di Milano, soltanto perché noi siamo l'unica città italiana dove «l'erba cresce sempre».

Il sapere è anche business, dice Sala che rammenta a tutti il fatto di essere stato prima di tutto «un manager privato». Proprio per questa ragione dovrebbe allora avere nozione del fatto che oggi, almeno in Europa, i finanziamenti privati alla cultura non avvengono più «per elargizione», ma attraverso moderne forme di coinvolgimento cosiddette tailor made, vale a dire cucite su misura alle aziende e basate su progetti in grado di generare un reale impatto sui territori di riferimento.

Come ci insegnano i modelli anglosassoni (ma anche i francesi che sono riusciti proficuamente a «brandizzare» pure il Louvre) il vecchio mecenatismo ha ormai ceduto il passo a nuove contaminazioni tra il mondo dell'arte e quello dell'impresa, laddove le aziende, oltre a essere ringraziate con il loro logo su un catalogo, capitalizzano la cultura anche come promozione interna, favorendo processi innovativi e incoraggiando il team building. Ma per generare queste sinergie, questi percorsi «a quattro mani», servono manager della cultura, caro sindaco e non le elemosine. Occorrono cioè direttori (non politici) scelti per concorso internazionale (così com'è avvenuto per i grandi musei statali) che sappiano attirare su musei e progetti le risorse dei privati senza delegare loro la programmazione culturale.

Serve insomma quella managerialità che anche durante Expo avrebbe permesso di mettere in rete i soggetti culturali della città, evitando che perfino la Scala facesse flop.

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