Politica

Non è finito il liberismo ma le sue degenerazioni

Dinanzi alla più devastante crisi finanziaria dal secondo Dopoguerra in poi il rischio è che si discuta solo sui sacri principi sulla base della teoria del pendolo. Chi ieri sosteneva l’assoluta libertà del mercato oggi reclama un intervento pubblico massiccio puntando l’indice contro quella finanza che ieri proteggeva con l’applauso o con il silenzio complice. E chi ancora oggi difende con flebile voce l’economia di mercato piuttosto che spiegare le sue degenerazioni accusa il governo americano di intollerabile statalismo come fa il nostro Mario Monti. Insomma, una confusione di lingue dietro la quale si nascondono spesso interessi inconfessabili. La crisi finanziaria di oggi è potenzialmente più devastante di quella del ’29 negli Usa perché grazie alla globalizzazione ha un effetto domino recessivo su tutte le economie reali del mondo. Bene ha fatto, dunque, il governo americano a predisporre alcuni interventi immediati capaci di interrompere questa spirale distruttiva.
Tra le misure va ricordata innanzitutto la creazione di un ente pubblico capace di acquistare dalle banche e dalle assicurazioni i titoli-spazzatura invendibili sul mercato e che, appesantendo i rispettivi bilanci, avevano innescato l’attuale crisi finanziaria. Altrettanto importante è il blocco temporaneo delle vendite allo scoperto (short selling) di circa ottocento titoli bancari e assicurativi. Senza ulteriormente dettagliare il pacchetto di misure adottate il giudizio non può che essere positivo. Il costo che pagheranno i contribuenti americani sarà infatti decisamente minore di quello che sarebbero chiamati a pagare se lo tsunami finanziario non dovesse essere interrotto.
È questo il tramonto dell’economia di mercato? Assolutamente no. Può essere, invece, la fine delle degenerazioni di quel capitalismo finanziario che produceva danaro con strumenti che nulla avevano a che fare con la crescita della produzione di beni e servizi. Solo qualche esempio. Sono ancora tollerabili quelle vendite allo scoperto temporaneamente bloccate dall’amministrazione Bush che altro non sono che una fonte speculativa di chi vende titoli senza possederli salvo poi, colludendo spesso con le banche di ogni tipo, ricomprarli a distanza di tempo intascando la differenza di prezzo? Questo blocco va reso permanente e non solo sui titoli bancari e assicurativi.
E ancora, è tollerabile l’esplosione dei futures è cioè gli acquisti a termine di azioni e di materie prime versando solo il sette per cento del controvalore attivando così un’onda anomala di leva finanziaria, altra fonte dell’attuale crisi bancaria? E potremmo continuare. Tutto ciò non è il mercato, ma solo la sua degenerazione speculativa di massa. È il frutto dell’applicazione scriteriata e per molti aspetti disonesta di una filosofia, quella liberistica, valida sul piano concettuale, ma che richiede una ferrea regolamentazione per evitare catastrofi economiche e sociali per molti aspetti simili a quelle prodotte sull’altro versante della storia dal dirigismo economico. E allora non scomodiamo i sacri principi solo per nascondere omissioni e complicità.
I veri nemici del mercato sono dunque le sue degenerazioni e l’inarrestabile processo di finanziarizzazione dell’economia. Le misure americane sono solo risposte emergenziali cui devono rapidamente seguire interventi strutturali per riportare la finanza al suo ruolo naturale di sostegno alla produzione. In questa direzione anche le nostre autorità e quelle europee dovrebbero darsi una mossa. Tra l’altro, andrebbero subito sospese le ultime misure che consentono una più forte integrazione azionaria tra banche e imprese superando la vecchia separazione seguita proprio alla crisi del ’29. Il disastro delle prime potrebbe, infatti, trascinare nel baratro le seconde e viceversa. Come sempre capita anche in questa occasione si scateneranno guerre di potere.
Perché, ad esempio, l’amministrazione Bush e la Fed di Ben Bernanke hanno salvato Bear Stearns e Merrill Lynch, hanno lasciato affondare Lehman Brothers e si sono decisi a intervenire quando rischiavano di sprofondare Morgan Stanley e Goldman Sachs penalizzando così alcuni risparmiatori e tutelandone altri? Ha forse influito il fatto che il segretario del Tesoro americano è quell’Henry Paulson già presidente della Goldman Sachs e che nel team di Barack Obama c’è quel Robert Rubin già sottosegretario al Tesoro di Bill Clinton e anche lui dirigente autorevole della Goldman Sachs? Forse è solo malizia la nostra, ma resta il fatto che al fondo di questa colossale crisi finanziaria ci sarà anche un formidabile riassetto del potere che riguarderà da vicino la tenuta della democrazia politica nei Paesi occidentali e nel confronto tra essi e gli altri Paesi.

Ma di questo torneremo a parlarne.
Geronimo

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