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Non siamo più asini Ora gli italiani si scoprono amanti della scienza

Addio stereotipi: il livello del sapere tecnologico cresce anno dopo anno. Anche se Internet resta un problema

Non siamo più asini Ora gli italiani si scoprono amanti della scienza

di Gabriele Villa

«Vedete, il telegrafo è un tipo molto, molto lungo di gatto. Voi tirate la sua coda a New York e la sua testa miagola a Los Angeles. Lo capite questo? E la radio opera esattamente allo stesso modo: voi mandate i segnali qui, e loro li ricevono là. L'unica differenza è che non c'è alcun gatto».

Questo è un modo, il modo di Albert Einstein, di far comprendere l'invenzione del telegrafo e della radio ai suoi contemporanei, ma anche di testare la loro comprensione scientifica. Qualche anno più tardi siamo ancora qui. A dover capire quanto e come siamo ignoranti. E, puntualmente, qualche anno più tardi, rispetto alle domande di Einstein, qualcun altro ci fa altre domande.

Ci chiede, per esempio, se gli elettroni sono o no più piccoli degli atomi, se il sole è un pianeta oppure o no. E ancora a che cosa servono esattamente gli antibiotici. Sono i ricercatori dell'Osservatorio scienza tecnologia e società che, da oltre dieci anni, tengono sotto il controllo il livello di preparazione scientifica di noi italiani. In altre parole, monitorano il nostro alfabetismo o analfabetismo scientifico.

Come siamo messi, dunque? «A dispetto degli stereotipi che ci dipingono come degli ignorantoni sul fronte scientifico, matematico ecc., il risultato reale è che stiamo facendo progressi - esordisce Massimiano Bucchi, professore di Scienza tecnologia e società all'università di Trento - tanto che solo il 13 per cento non sa rispondere correttamente ad alcuna delle domande, mentre il 62 per cento degli italiani sa che il sole non è un pianeta, quasi tre su cinque conoscono la reale funzione degli antibiotici e il 57 per cento degli italiani sa che gli elettroni sono più piccoli degli atomi. In buona sostanza solo il 5% dei giovani tra i 15 e 29 anni e il 2% dei laureati si colloca al livello più basso di alfabetismo scientifico». Progressi dunque a quanto pare. «Certo - sottolinea Bucchi -rispetto al 2007 la percentuale di risposte corrette cresce di più di 10 punti e raggiunge quasi il 20% nel terzo caso. In effetti le conoscenze scientifiche dei cittadini italiani, ci dicono gli indicatori, diminuiscono al crescere dell'età e aumentano al crescere del livello di istruzione. È tra gli italiani ultrasessantenni e con un basso titolo di studio che si trova la percentuale più alta di chi non sa rispondere a nessuna delle domande poste, mentre la percentuale di chi riesce a rispondere a tutte e tre le domande supera il 50% tra i laureati». Domande non propriamente facili, ammettiamolo, ma che riformulate di anno in anno, nell'ambito di un sondaggio di una ventina di minuti, che i ricercatori dell'Osservatorio conducono in parte telefonicamente e in parte in modo digitale, su un campione di mille persone adulte di varie estrazioni sociali, diversa città di residenza e differente grado di istruzione, consentono di tratteggiare una mappa attendibile delle nostre conoscenze. Ma se qualche italiano in più rispetto agli anni passati supera lo scoglio degli elettroni, come la mettiamo con le tabelline, le equazioni e i numeri in generale? «Su questo fronte ci dobbiamo basare sul rapporto Ocse annuale, che pubblichiamo nel nostro Annuario, un rapporto che considera, nelle sue valutazioni, solo la popolazione scolastica. È vero - ammette il professor Bucchi - il rapporto degli italiani con la matematica non è mai stato facile, ma anche su questo terreno stiamo risalendo la china. Così, anche se i dati ci parlano di un divario di preparazione scolastica che, in generale, pone in cima le regioni del Nord rispetto a quelle del Sud, è altrettanto vero che la geografia delle scuole e degli istituti porta a individuare poli d'eccellenza in varie parti d'Italia superando ogni confine». D'altra parte a rafforzare questa tesi, emerge dai sondaggi che tra gli studenti quindicenni quasi sei su dieci ritengono che le ore dedicate alle materie scientifiche abbiano accresciuto la propria curiosità e interesse e considerano queste materie di grande utilità anche per la propria vita quotidiana.

La possibilità di «praticare» la scienza mediante esperimenti di laboratorio a scuola fa addirittura quadruplicare la propensione di ragazze e ragazzi verso studi scientifici universitari. Ma un peso non certo trascurabile hanno programmi come Superquark. «Nei più recenti cinque anni gli spettatori assidui di programmi televisivi dedicati a scienza e tecnologia sono aumentati di 20 punti; è cresciuta notevolmente - fa notare il professor Bucchi - anche la fruizione di contenuti scientifico-tecnologici su internet, soprattutto tra i più giovani (arrivando a coinvolgere, almeno occasionalmente, addirittura il 93% tra i 15-29enni). Tendenze confermate in questi anni dagli ascolti dei programmi dedicati alla scienza in prima serata, dalla notevole affluenza ai festival della scienza, dal grande successo di libri di divulgazione e di film e serie televisive che, sempre più spesso, hanno come protagonisti figure del mondo scientifico». Prendiamo a caso dai dati Auditel: il 3 settembre nella prima serata vittoria di Superquark con il 12,51% e 1,8 milioni di spettatori , il 30 agosto ancora vittoria per Piero Angela con 2,781 milioni. E il trend si rinnova, sostanzialmente, ogni settimana. Conferme su conferme, in altre parole.

Un altro dato che emerge dai rilevamenti dell'Osservatorio è quello dei Tecnoesclusi. Gli italiani, cioè, e sono tre su dieci, che non hanno alcun tipo di accesso a internet, che non hanno mai affrontato la rete e che non hanno le competenze per farlo. Su cento italiani, 28 non hanno mai usato internet, né un computer e si limitano a maneggiare, per lo stretto necessario, il cellulare (la media europea è del 18%, in Svezia i tecnoesclusi sono il 5%).

E a questo proposito occorre considerare anche un approfondimento che Samsung, ogni anno, conduce a livello europeo tramite la ricerca Tech Habits. In questo caso emerge che, pur utilizzando più tecnologia, sono ancora moltissimi gli italiani che non comprendono i nuovi termini tecnici come cloud, emoji ecc. «La rilevanza del dato, è accentuata dal fatto che i tecnoesclusi - commenta il professor Bucchi - sono concentrati soprattutto tra la popolazione meno scolarizzata e in età più avanzata. Di fatto sono coloro che hanno anche paura di quello che possono combinare buttandosi nella rete o che temono di subire violazioni delle loro privacy. Un discorso a parte meriterebbe anche la diffidenza di queste persone nell'avventurarsi sui siti della pubblica amministrazione per ottenere pratiche on line. Insomma, per queste persone, meglio il timbro sul documento cartaceo che un documento virtuale, anche se poi lo si può ovviamente stampare». Concludendo: gli italiani hanno cominciato a masticare un po' più di scienza ma le diversità sono ancora profonde ed emergono dai diversi atteggiamenti verso l'innovazione. Come decodificare, questo, atteggiamento e queste diversità? «Gli orientamenti verso l'innovazione non dipendono unicamente dalle competenze cognitive possedute, dall'esposizione ai media o dalla partecipazione a eventi o manifestazioni legate alla divulgazione e alla ricerca. Il nodo critico - avverte Bucchi - resta la fragilità di una cultura della scienza e della tecnologia nella società: di una cultura che sappia discutere e valutare i diversi sviluppi e le diverse implicazioni della scienza e della tecnologia evitando le opposte scorciatoie della chiusura pregiudiziale e dell'aspettativa miracolistica. La fiducia nella scienza non significa però una comprensione di ciò che lo scienza può fare e di ciò che non potrà mai fare.

La scienza non è il campo dei miracoli, il campo di Pinocchio dove si seminano cinque monete d'oro e l'indomani se ne ritrovano cinquecento».

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