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Non è vero ma ci credo

Non è vero ma ci credo

Oddio ma non è che scrivere sulla superstizione porti male? Sapete com'è, su certi argomenti è meglio non scherzare perché, come diceva qualcuno, essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male. In realtà, diciamocelo, la superstizione è come la Dc negli anni '70: nessuno in giro dichiarava di votarla, ma poi alle urne prendeva il 30 per cento. Poco o tanto, tutti noi abbiamo riti scaramantici che magari non ammetteremmo neanche al confessore ma ai quali non rinunceremmo neppure sotto tortura. Gli studenti prima degli esami seguono sempre gli stessi riti. Tanti atleti non scendono in campo senza aver fatto quel determinato gesto oppure seguito quella precisa procedura che guai se cambia. Ci sono cantanti che evitano i concerti in certe date per non incappare in sfortune o avversità. E ci sono personaggi tv che evitano determinati colori perché non portano bene o, addirittura, portano proprio male (allo share). Io, nel mio piccolo, non inizio mai a scrivere un articolo se l'ora è «dispari» e difatti anche stavolta ho iniziato alle 21.58 precise. Prenotate le vacanze? Vediamo chi ha il coraggio di partire venerdì 17. C'è gente senza ombrello che corre sotto la pioggia pur di non passare sotto una scala (si dice che porti sfortuna perché nel Medioevo le scale erano appoggiate alle mura delle città e spesso dall'alto pioveva l'olio bollente degli invasori). Insomma non è un caso se sugli aerei la fila numero 17 è stata silenziosamente abrogata e nessuno si è mai lamentato, neppure il Codacons. Dopotutto, nonostante tutte le religioni la critichino, la superstizione è l'unico rituale che neanche il politically correct abbia mai messo in dubbio perché magari non è vero ma comunque ci credo.

Nelle società primitive (sempre ammettendo che non lo sia anche la nostra) la magia e la superstizione aiutavano a placare l'ansia dell'imprevisto. La danza della pioggia, ad esempio, serviva ai nativi nordamericani Cherokee per attenuare la paura di rimanere senz'acqua per il bestiame. Per gli antichi romeni, le danze della Paparuda servivano come anti stress nel caso di previsioni meteo non favorevoli alle colture. Va bene che riderci su è sempre un toccasana, ma anche questo è un rituale scaramantico, non credete? Ad esempio, Totò nel film Totò contro i quattro dice che «a me i gatti neri mi guardano in cagnesco» ma fuori dal set era così superstizioso che, quand'era in treno, si portava sempre una maschera antigas per tutte le evenienze. E chi ha inventato il detto «Né di venere né di marte, non si sposa né si parte né si dà principio all'arte»? Insomma se l'ottimismo è il profumo della vita, la superstizione è la benzodiazepina della quotidianità. Tutti, prima o poi, ci caschiamo, magari scherzando oppure facendo finta di nulla. E qual è la controindicazione? Nessuna, niente, zero. La fortuna della superstizione è che non c'è possibilità di scalfirla o negarla, esisterà nei secoli dei secoli, cambiando modalità ma non sostanza. È la nostra terapia per anestetizzare le paure, non ci costa nulla e la possiamo praticare in silenzio. Tutti. Anche io che finisco di scrivere questo articolo alle 22.

50 precise e meno male che è un'ora «pari» (non si sa mai).

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