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"Nonno se non voti Obama non vengo più a trovarti"

I giovani di Barack. Migliaia di ragazzi in giro per le strade degli Stati in bilico per convincere i familiari a votare per il senatore dell'Illinois

"Nonno se non voti Obama non vengo più a trovarti"

nostro inviato a Jupiter (Florida)

L’ultima frontiera dell’Obamamania è questo pullman che si è appena fermato a Jupiter. Scarica i pendolari del voto. Trenta posti, tre Stati: Sud Carolina, Georgia, Florida. Poi giù fin qui. Scendono, loro. Diciotto, venti, venticinque anni. Trenta i più grandi. Qui perché questa è l’ultima tappa del viaggio. Hanno chiamato qualche ora prima, richiamano ora: «Nonna sono arrivata, vengo da te». Questo è un viaggio strano: non c’è niente di spontaneo, non c’è affetto, non c’è amore. Politica, solo politica. Questi trenta ragazzi sono venuti qui a convincere i nonni a seguirli. «Vota Barack anche tu. Dobbiamo vincere la Florida per arrivare alla Casa Bianca». Non sono i sessanta voti che contano. Questa è una piccola parte di una storia che è cominciata come una provocazione ed è finita per diventare un fenomeno: i viaggi per Obama. Si va in Ohio, in Virginia, in Pennsylvania, in Missouri, in West Virginia. Si viene soprattutto qui, perché questa è la casa di riposo d’America, dove i ricchi signori vengono a passare la vecchiaia tranquilla. Sole, mare, relax, calma. Quanti giovani americani hanno un nonno che vive in Florida? Abbastanza per scatenare questa corsa al telefono e al viaggio: «Tra due giorni sono da te, ti devo raccontare una cosa». Adesso sono arrivati. Scendono dal bus: grigio, rosso, blu, bianco. Mettono cappelli, t-shirt, imbracciano cartelloni. «The change we need», e il cambiamento di cui hanno bisogno sta dentro le parole che diranno tra un po’. Quelle che dirà adesso Jonathan: «Nonna se non voti per Barack non vengo più a trovarti». Vale tutto, a tre giorni dal voto. Vale anche un dispiacere, una lacrima di nonna e nonno. Jonathan l’ha preso come un lavoro, convinto da Sarah Silverman, la comica di Comedy Central che ha fatto cominciare questa storia. È lei il volto di Great Schlep, il grande viaggio, il movimento che ha organizzato i viaggi dei giovani ebrei per Barack. Il video di Sarah è stato visto da cinque milioni di persone su You Tube: «Se Obama non diventerà presidente, sarà colpa degli ebrei. Non vi piace Barack Hussein Obama? È vero è un nome ridicolo, ma uno che si chiama Manischewitz Guberman può capirlo. Convinceteli. Non c’è differenza tra un maschio nero e una nonna ebrea: tutti e due amano le tute da ginnastica e i gioielli vistosi. Tutti e due hanno amici che muoiono come le mosche». Poi lo slogan: «Vote for Obama, I’m gonna visit grandmamma». Eccoli. Gli ebrei che hanno cominciato a mettersi in viaggio verso i 500mila nonni pensionati che vivono qui in Florida. Gli ultimi sono questi trenta, poi ne arriveranno altri fino a domenica. Un pellegrinaggio politico, perché se ogni voto conta, allora un nipote è la miglior arma elettorale con un nonno. Jonathan poi ride, prende dallo zaino una manciata di volantini con le indicazioni del voto anticipato. «I miei volevano votare McCain. Perché li spaventa il secondo nome di Barack: Hussein. Ma so che li convincerò e so che andranno a votare presto, il prima possibile. Lo faranno perché gliel’ho chiesto io». Questo è più di un volontario, è un missionario elettorale. Uno tra tanti. Perché il grande viaggio non è rimasto confinato agli ebrei. Quello è stato lo spunto: è bastato aprire una pagina Facebook che sono nate altre associazioni, altri movimenti. Giovani tutti, perché Obama ha il 63 per cento delle preferenze tra gli elettori sotto i 35 anni. Li ha cercati, li ha voluti dall’inizio, da febbraio quando in tutti gli spot radiofonici si rivolgeva a loro. «Io porto la speranza, voi siete la speranza». Li ha contagiati con la campagna via sms: tu digitavi Hope e avevi istruzioni su come votare, dove votare, come portare gli altri a votare. The Great Schlep ha fatto nascere Trip for Change, il gruppo che mette tutti insieme: ebrei, cattolici, protestanti, bianchi, neri, latinos. Tutti, purché giovani. Organizza i viaggi under 30 verso gli Stati in bilico: «Chiunque abbia un parente da convincere, passi da noi. Troveremo il modo per mandarlo ovunque a dire di votare per Barack». Gratis. C’è già chi paga: una serie di donatori misteriosi che hanno finanziato l’operazione. Poi ci sono i volontari che non mettono soldi, ma «miglia». Ogni giorno si fa la lista dei voli da riempire e delle miglia accumulate necessarie per far partire i ragazzi, poi scatta la ricerca via internet: «Cedi le tue miglia per Obama. Regala un biglietto gratis». Continental, Delta, United, Us Airways, American Airlines. Va bene qualunque compagnia. Sennò c’è il pullman, come questo che è appena arrivato a Jupiter, come gli altri che stanno girando per la Florida. Si parte. Si chiama. Si bussa a casa dei nonni. «Eccomi». Maglietta, stendardo, volantini.

Sorrisi e promesse: «Vota Barack, fallo per me».  

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