Controcultura

Nudi, marmorei, eterni Ecco i Giganti di Maraini

I bassorilievi, realizzati negli anni Venti per palazzo Montecatini a Milano, furono staccati e buttati...

Nudi, marmorei, eterni Ecco i Giganti di Maraini

Negli studi in onore di Giovanni Pratesi, apparsi nel 2010, una studiosa tenace e appassionata, Francesca Bardazzi, raccontando del fregio rimosso di Antonio Maraini per palazzo Montecatini in via Principe Umberto (oggi via Turati) a Milano, ammetteva la sua sconfitta per non averlo ritrovato. Tanto più che si trattava di numerose sculture di uomini reclinati, con il modulo di due nudi atletici o in posa di danza, disposti ai lati di una apertura tonda, in marmo di Carrara, a grandezza naturale, una volta smontate difficili da disperdere o distruggere.

E in effetti sarebbe bastato aspettare, con un po' di fortuna. Ormai da molte edizioni della Milanesiana, puntualmente, due conoscenti, Rodolfo Bertaiola e Pietro Sergio Mauri, mi sussurravano, a margine di occasioni e di discorsi, di un vistoso gruppo di sculture di Maraini fortunosamente ritrovate. Non li avevo presi troppo sul serio, almeno rispetto al mio sempre più limitato tempo. E così, di Milanesiana in Milanesiana, la «cosa» passò a mia sorella, Elisabetta Sgarbi, che della Milanesiana è l'anima, e che, incuriosita, volle andare a «vedere», e trovò il tesoro annunciato. Riparati in un rifugio, aperto solo per gli happy few della Milanesiana - esposti in un capannone del Laboratorio Bertaiola, in via Ornato 78, a Milano - su comodi praticabili per assestarli e ricomporli, i gruppi plastici mostrano l'autorità e la nostalgia per il mondo classico e per la figura umana di Antonio Maraini (Roma, 1886 - Firenze, 1963), padre di Fosco e nonno di Dacia.

Egli si era applicato all'impresa tra il 1927 e il 1928, coronando di un fregio l'architettura di Ugo Giovannozzi, oltre il deco, verso un decisivo neo-neoclassicismo, corrispondente allo spirito del tempo, in concorso esterno al movimento di Novecento, in quegli anni incardinato da Margherita Sarfatti.

Il committente, Guido Donegani, aveva voluto, nell'architettura e nella decorazione, richiamare le severe forme del Rinascimento toscano, bugnato a terreno, i piani superiori con archi e finestre incorniciati da colonne ioniche. Maraini ha l'incarico di scolpire, all'interno, due statue allegoriche (tuttora in situ) nelle nicchie dello scalone principale, e cinque bassorilievi per la facciata.

Questi furono smontati, e in seguito dispersi, già nei primi anni Trenta, in occasione della sopraelevazione dell'edificio. Oggi riappaiono, e rivelano lo stretto rapporto tra lo scultore e gli architetti del suo tempo, documentato qualche anno dopo anche nel meraviglioso portale del palazzo della Cassa Nazionale delle Assicurazioni, poi INPS, in piazza Missori, progettato da Marcello Piacentini. Notevole, nel Maraini di questi anni, quando lo scultore assume l'importante incarico di Segretario generale della Biennale di Venezia dal 1927 al 1942, è l'adeguamento degli irrinunciabili canoni classici della scultura antica alle sintesi secessionistiche e icastiche di Ivan Mestrovic. Ne esce un linguaggio composto e originale, intimamente espressivo, che esclude ogni concessione accademica, in parallelo con la coeva esperienza di Sartorio che, fra l'altro, lavora con Maraini in palazzo Montecatini.

Lo scultore scrive che il classicismo non è un semplice «fatto culturale», ma, piuttosto, «un fatto interiore e quindi profondamente umano». Ed evoca un mondo che «sfugge a qualsiasi localizzazione e determinazione fissa. Può essere di oggi, di ieri, di domani... Il ritorno al classicismo è la ripresa di un punto di vista spirituale». Francesca Bardazzi ricorda che, in Scultori d'oggi, Maraini scriveva che la rappresentazione del corpo umano, e particolarmente del nudo, ha nobilitato la scultura, anzi l'ha resa eterna, in quanto rappresenta «il sommo della bellezza, il sommo della forza».

Il fregio ritrovato, incredibilmente attuale, senza tempo, ne è la migliore prova.

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