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La nuova Fed alla prova

La nuova Fed alla prova

Dopodomani si insedia al vertice della Federal Reserve, la Banca centrale americana, il nuovo presidente Ben Bernanke. Dopo i poco meno di vent'anni del mitico Alan Greenspan (da Ronald Reagan a George W. Bush), che cosa possiamo aspettarci nell'interesse della nostra economia? Nell'immediato, la congiuntura Usa è caratterizzata da un certo rallentamento, nonostante la forte avanzata delle Borse mondiali. Nell'ultimo trimestre il Pil degli Stati Uniti è cresciuto alquanto meno del previsto: all'1,1 per cento su base annua, con un'improvvisa frenata dei consumi e un'accelerazione dell'inflazione. I mercati hanno però interpretato questi dati come un motivo (in più) per aspettarsi l'imminente fine dei rialzi dei tassi americani, che salgono ininterrottamente, per quanto a minime dosi, dalla metà del 2004.
Può darsi, e questo sarebbe indubbiamente un bene per noi (e naturalmente per tutta l'area euro), dal momento che proprio il differenziale sui tassi con l'America è ancora molto alto. È vero che questo, contribuendo a sostenere un elevato tasso di cambio del dollaro agevola le nostre esportazioni verso quell'area e riduce sia la bolletta energetica sia la nostra «inflazione importata». Ma è anche vero che l'attrazione di capitali e di risparmio verso l'America ne risulta ancor più sostenuta. Vedremo.
Di sicuro Ben Bernanke si troverà di fronte al primo dilemma e dovrà evitare l'impressione di uno stop and go troppo basato sull'incertezza: fermare il rialzo dei tassi per poi riprenderlo poco dopo. Bisogna anche tener conto che Bernanke, dopo essere stato presidente del comitato dei consulenti economici della Casa Bianca, è un economista accademico (ha insegnato alla Stanford e alla Princeton University). Non è per questo, ovviamente, ma anche per questo è probabile che sia indotto a muoversi (o a non muoversi) con particolare prudenza. Sul fronte dell'occupazione, per esempio, il 2005 ha dato buoni risultati: 2 milioni di nuovi posti di lavoro, come l'anno precedente, mentre il tasso di disoccupazione si è ridotto notevolmente. Ma quest'ultima riduzione è dovuta, in buona parte, a disoccupati che non si sono più iscritti nelle liste, mentre una bella quota dei nuovi posti di lavoro era stata assorbita dal settore immobiliare, in fase di contrazione. Se il rifinanziamento immobiliare non dovesse più compensare la diminuzione del potere d'acquisto dei salari, cresciuti con l'aumento più forte dal 2003 ma meno dell'inflazione, ci sarebbe da preoccuparsi per i consumi.
In realtà le prospettive dell'economia americana non sono del tutto chiare. La stretta dei tassi allora continuerà, forse fino alla primavera? C'è poi l'orizzonte a medio termine, che per alcuni economisti americani ingloba elementi di fragilità strutturale che danno alla crescita dell'economia Usa nell'epoca di Bush un carattere malsano: a cominciare dai twin deficit, i disavanzi gemelli, quello federale interno e quello verso l'estero. Questa visione è certamente tradizionale e ripetitiva, mentre altri proiettano invece gli scenari del futuro in un mondo di equilibri globali. Insomma nell'economia globale, dove la Cina e le sue enormi riserve possono fare da contrappeso. Lo stesso Bernanke ha anticipato di non credere affatto che l'eliminazione del disavanzo federale riporterebbe in equilibrio i conti con l'estero: parole che suonano per ora dolce musica alle orecchie del presidente Bush. In ogni caso Bernanke mostra di attribuire al risparmio - all'eccesso di risparmio nel mondo - un ruolo molto critico e potenzialmente pericoloso. Qui lo schema (non il suo, ma forse uno simile) sarebbe semplice: la Cina, acquistando i titoli del Tesoro americano, concorre a tenere bassi i tassi a lungo termine e contribuisce a sostenere i consumi americani che assorbono importazioni cinesi.
Ma c'è dell'altro. Nel lungo periodo, l'invecchiamento della popolazione dei Paesi ricchi impone loro di risparmiare di più, e bisognerebbe che fossero le economie sviluppate a prestare denaro alle più povere, non il contrario. In parole semplici, bisognerebbe riportare i mercati finanziari internazionali alla loro funzione naturale. In conclusione, per i tassi stiamo a vedere.
Nel medio e nel lungo periodo, come in un telescopio, si delineano i possibili scenari dell'economia globale.

Il Signore ci perdoni se noi, intanto, abbiamo tutt'altro da pensare.

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