Controstorie

La nuova schiavitù. I bimbi costretti dai maestri islamici a chiedere la carità

Solo a Dakar sono 30mila. Studiano nelle scuole coraniche 5 ore poi ne passano 8 a elemosinare per strada E guai se non raccolgono denaro

La nuova schiavitù. I bimbi costretti dai maestri islamici a chiedere la carità

I dati forniti lo scorso giugno da Human Rights Watch non lasciano spazio a interpretazioni: in Senegal più di 100mila bambini sono costretti a elemosinare, intrappolati in un sistema educativo tradizionale, cinico e violento. Vittime di gravi violazioni nonostante le campagne di sensibilizzazione e le leggi in vigore. Li chiamano «talibé», che in wolof, la lingua parlata prevalentemente in gran parte del Senegal, significa discepolo. I talibé sono i discepoli delle Daaras, scuole coraniche gestite dai marabutti, autorità religiose molto influenti sia nell'islam senegalese che nel tessuto politico locale. Nelle Daaras si insegna a memoria il Corano e niente più. Esiste un progetto del governo senegalese di scuole moderne, in cui oltre al Corano si possano studiare anche il francese e la matematica, ma è un progetto che stenta a decollare. Sono bambini a cui hanno rubato l'infanzia, bambini fantasma di cui nessuno si prende cura, che si azzuffano come cani quando porgi loro del cibo perché hanno fame, e la fame è una delle cose più terribili a certe latitudini del globo. Spesso vengono da regioni remote del Senegal, come la Casamance, a sud, oppure dalla regione di Matam al confine con la Mauritania. Addirittura vi sono talibé che arrivano dalla Guinea, dalla Guinea Bissau, oppure dal Mali. Un'emigrazione dettata dallo status delle famiglie dell'Africa Occidentale, spesso numerose e che non possono sfamare tutti i loro figli. Genitori costretti a venderli a un marabutto senegalese che in teoria dovrebbe prendersi cura di loro insegnandogli il Corano, ma che all'atto pratico li utilizza per elemosinare e arricchirsi alle loro spalle.

Nel 2005 era stata approvata una legge contro l'elemosina, che in realtà non venne mai applicata. Il governo di Macky Sall, appena rieletto presidente del Senegal, sta lavorando invece a una soluzione, proponendo le Daaras moderne e varando una legge (risalente allo scorso marzo) che vieta la mendicità minorile per le strade, ma purtroppo non viene rispettata. Così Dakar è piena di talibè, di età compresa tra 5 e 15 anni, malvestiti, malaticci e sporchi con dei barattoli vuoti in mano che chiedono l'elemosina a passanti e automobilisti, che vivono per le strade, mangiano quello che la gente offre loro, o scarti dei ristoranti.

Il Senegal è un Paese a maggioranza musulmana, l'islamismo sunnita si è affermato a partire dal XIX secolo in reazione alla colonizzazione francese. In principio le Daaras erano situate nelle aree rurali, dove gli studenti pagavano l'insegnamento ricevuto col lavoro svolto nei campi dei marabutti. L'insegnamento coranico era il simbolo della resistenza all'occupazione francese e rappresentava la volontà di preservare i valori locali minacciati dall'affermarsi delle scuole transalpine. Mendicare era parte, seppur per poche ore al giorno, della formazione dell'allievo. Serviva a instillare nell'animo del giovane l'umiltà, la pazienza e la condivisione. Le scuole un tempo erano in prevalenza concentrate nelle zone rurali, ma la siccità ha indotto i marabutti a spostarsi in centri urbani come Dakar, Saint Louis e Ziguinchor, spesso abusivamente. Così è venuta a mancare la base di sussistenza alimentare garantita dalla rendita agricola. Privi di risorse e del supporto economico dei genitori, i marabutti costringono i talibé a mendicare per strada per quasi tutta la giornata a discapito dello studio, generando una vigliacca macchina di profitto. In Senegal è stato accertato che vivono 100mila talibé. In particolare nella regione di Dakar si contano più di mille scuole coraniche e 54mila talibé di cui 30mila sono mendicanti, e in quella settentrionale di Saint Louis oltre 200 daaras e 14mila talibé, dei quali più della metà elemosinano. In media i bambini trascorrono cinque ore a scuola e otto ore per strada. Nelle daaras i bimbi non fanno altro che pregare. Non giocano e non si lavano (manca qualsiasi forma elementare di igiene). A farli giocare e a lavarli ci pensano alcune associazioni di volontariato sempre però con il consenso del marabutto. In alcuni casi il tempo dedicato allo studio è direttamente proporzionale alla capacità di raggiungere la quota giornaliera di elemosina stimata tra i 500 e 2000 CFA (poco più di 3 euro) in cibo, denaro, vestiti, stabilita dal marabutto. Il mancato raggiungimento della quota giornaliera comporta pesanti punizioni corporali. I corpi dei bambini sono segnati dalla malaria, feriti dalle bastonature e dai segni delle catene che portano ai polsi e ai piedi. Per strada sono esposti agli incidenti stradali, alle reazioni violente degli estranei e agli abusi sessuali.

L'impegno del governo senegalese nella lotta allo sfruttamento dei talibé è cresciuto, ma è complicato schierarsi contro le autorità religiose locali. L'islam moderato è solo un'apparenza, l'atteggiamento di buona parte dei marabutti senegalesi non ha nulla da invidiare agli estremisti di Boko Haram nel nord della Nigeria. La mancata o parziale applicazione delle leggi è dovuta alla scarsa volontà politica dell'esecutivo di punire i crimini commessi a seguito di forti pressioni esercitate dalle autorità religiose. La responsabilità cade anche sui giudici, impreparati e reticenti a riconoscere la gravità degli abusi, sulle forze di polizia e sugli assistenti sociali che non denunciano i casi alle autorità competenti. Sulla terribile vicenda dei bambini a cui gli uomini hanno cancellato il sorriso è intervenuto di recente il ministro agli Affari Sociali Abdoulaye Diouf Sarr. «Non possiamo più chiudere gli occhi su un fenomeno che distrugge la nostra società, le nostre strade, i nostri cuori e i nostri bambini. Lo Stato, in quanto responsabile della protezione dei più deboli e in quanto firmatario di numerosi trattati internazionali per la protezione dell'infanzia, adempirà al suo compito», ha spiegato al quotidiano Le Soleil.

Pochi giorni dopo la sua abitazione, nel quartiere di Rufisque a Dakar, è stata data alle fiamme.

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