NUOVA STILISTA DI TUTTO IL BRAND

Si può costruire il futuro sulla memoria? «Si deve» risponde Raf Simons con la memorabile collezione Dior del prossimo inverno basata su un continuo gioco di rimandi tra tempo, spazio e cultura. La sfilata si è svolta ieri pomeriggio a Parigi in una mastodontica tentostruttura bianca decorata da grandissimi palloni argentati che in qualche modo ricordavano il monumentale Leviathan di Anish Kapoor esposto negli smisurati spazi del Grand Palais nell'estate 2011. Su ogni sedia oltre alla sequenza delle uscite (per la cronaca 38, una più bella dell'altra) c'è un foglio con le spiegazioni del 42enne stilista belga che dice di aver lavorato sulla persistenza della memoria, ovvero su come le idee, le sensazioni e le esperienze vanno e vengono influenzando giorno dopo giorno il processo creativo. Lo stilista parla anche della comune passione per l'arte tra lui e Christian Dior. «Prima di diventare couturier - racconta - è stato anche gallerista esponendo le opere di Dalì e Giacometti al loro debutto. Lui era ossessionato dalla Belle Epoque, io dal modernismo, ma quel che conta è l'idea stessa del legame attraverso il tempo».
Per farla breve il designer ha lavorato su una serie di momenti forti a volte per sé, a volte per la maison Dior. Per cui oltre a una stupefacente riedizione della mitica giacca Bar in denim di lana, ha offerto strepitose rielaborazioni del cappotto battezzato Arizona nel 1948, di quello chiamato Doris del '47, dell'abito Miss Dior del 49 e di tante altre pietre miliari della leggendaria carriera di Monsieur Dior. Ma invece di limitarsi alla semplice ricerca d'archivio, Simons ha compiuto una specie di operazione psicanalitica per trovare il nuovo in quelle vecchie forme così belle e donanti. Dire che c'è riuscito è poco, ma come se questo non bastasse ha preso una serie di disegni fatti da Andy Warhol nel 1950 (la scarpa dorata, un volto di donna ancora influenzato dal cubismo, degli occhi che francamente ricordano Dalì) per decorare abiti e scarpe. Il risultato è magistrale: la pop art su forme della Bella Epoque, il surrealismo in salsa modernista, gli anni Cinquanta ai giorni nostri oppure in un domani molto migliore. Quando in passerella compare Ann Catherine Lacroix, modella belga di 35 anni, laureata in scienze politiche, faccia e corpo non più perfetti ma cervello di primissimo ordine, finalmente capisci che Dior nelle mani di Raf Simons è diventato un brand per donne con l'anima.
A questo tipo di clientela si è sempre rivolto quel genio gentile di Alber Elbaz, deus ex machina di Lanvin. Stavolta, però, la sua sfilata sembra in loop: una ripetizione quasi ossessiva dei soliti concetti: le ruches, il blu con il nero, la vita strizzata, i grandi gioielli (stavolta hanno anche scritte come «Help» oppure «Cool»), un certo non so che di rilassato, l'emozione a fior di pelle. La natura vista dall'altro è il punto di partenza della collezione Miyake disegnata dal 35enne discepolo del maestro giapponese, Miyamae. Francamente un giro su Google Earth è molto più bello e denso di emozioni: lo scozzese ottenuto da tre diversi tipi di fili concettualmente è stupendo, dal vivo fa male agli occhi per gli orrendi accostamenti di colore. Spettacolare invece il lavoro del brand Margiela sulle metamorfosi dell'abito: il completo da uomo diventa da donna, la martingala stringe le spalle e tiene indietro i capelli, mentre le cravatte si trasformano in pettorine.
Da Drome, griffe toscana specializzata nell'uso della pelle, l'agnello pasquale diventa una setosa pelliccia nera oppure color confit e sul pullover in cavallino di vacchetta ci sono le trecce stampate.

«Usiamo solo pelli di animali che fanno parte della catena alimentare» spiega la stilista Marianna Rosati che pure per questa deliziosa collezione sì è ispirata alle inquietudini horror di David Linch.

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