Politica

Nuovo Senato, il Pd si salva per un pelo

Passa di misura l'articolo 2 del ddl Boschi, che aveva diviso il partito. Ma la fronda interna attacca ancora Renzi

Maria Elena Boschi e Maurizio Saccon in Senato durante le votazioni
Maria Elena Boschi e Maurizio Saccon in Senato durante le votazioni

Roma - «Obiettivo raggiunto», dice Matteo Renzi: al Senato passa di buona misura l'emendamento Finocchiaro che contiene il mini-compromesso accettato dalla minoranza Pd per rientrare nei ranghi, e poi l'intero articolo 2 della riforma costituzionale. Quello, per intenderci, su cui nelle fosche previsioni della vigilia il governo rischiava l'osso del collo. L'emendamento passa con 168 voti, l'articolo con 160, sotto la maggioranza assoluta: i voti in meno sono un «segnale», si dice nei corridoi di Palazzo Madama, mandato da un pezzetto di Ncd, allarmata per la concorrenza verdiniana e in guerra per quello che già si annuncia come il prossimo blitz del premier, ossia l'approvazione celere delle unioni civili.

Renzi infatti vuole che il provvedimento sia messo all'ordine del giorno non appena le votazioni sulla riforma saranno concluse, e questo - salvo incidenti - potrebbe avvenire già la prossima settimana, prima della scadenza prevista del 13 ottobre. «Su questo non molliamo, è un impegno di civiltà, e anche molti sacerdoti sanno che una legge occorre e va fatta al più presto», dice a Repubblica il premier, che pensa che un segnale forte di sinistra servirà anche a dissipare le polemiche nel Pd sull'«inquinamento» verdiniano della riforma. Argomento cui si aggrappa la minoranza interna per tenere aperto un fronte di polemica dopo la resa sull'articolo 2. Ieri Renzi ha tagliato corto: «Verdini è diventato il paravento per qualsiasi paura, tutti lo evocano vedendolo anche dove non c'è: ormai è raffigurato come una sorta di mostro di Lochness. Ma lui e i suoi non fanno parte della maggioranza di governo: votano le riforme, non la fiducia». Subito è insorto il bersaniano Roberto Speranza: «Renzi la smetta di amoreggiare con Verdini, Barani & C se vuole avere un Pd unito. Questi personaggi è meglio perderli che trovarli». Ma intanto il premier assapora il successo di una strategia che, giocando su più tavoli, puntava a rendere ininfluenti i ricatti della minoranza bersaniana, e non decisivi i contestati voti del gruppo di Denis Verdini. Strategia finora coronata dal successo: da giorni sono proprio gli ex alfieri della fronda Pd, da Chiti a Corsini, ad intervenire in aula per difendere la riforma dagli attacchi delle opposizioni. E Anna Finocchiaro celebra «il gran risultato di aver tenuto uniti il Pd e la maggioranza».

Resta aperta la querelle sulle norme transitorie che devono regolare l'elezione dei futuri senatori: «Va modificato l'articolo 39 del ddl Boschi, in modo che sia chiaro che i senatori sono da subito scelti dai cittadini», dicono i senatori della minoranza Pd. Il governo, che non vuole riaprire l'articolo già passato in doppia lettura, propone invece un ordine del giorno «vincolante» che rimandi ad una legge ordinaria. Sarà il presidente Grasso a stabilire la strada procedurale.

E lunedì pomeriggio si ricomincia a votare, mentre slitta a lunedì 13 la riunione dell'ufficio di presidenza del Senato che stabilirà le eventuali sanzioni per il presunto gesto scurrile dell'ormai celebre senatore Barani.

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