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Obamaland, la città del primo bacio

L'ultima volta che hanno visto l'aspirante presidente in palestra, era venuto a sciogliere un pò i muscoli. Il ristoranet: il suo piatto preferito sono le nostre cosce di tacchino, comunque mangia tutto gli piace la nostra cucina

Chicago - Spalle all’acqua, alza la testa: 233 N Michigan Avenue, palazzo a vetri, vista lago, solo lago. Bisogna salire fino all’undicesimo per entrare a Obamaland. Si comincia da qui, perché il Monopoli di Barack qui ha la partenza. È il quartier generale: diecimila metri quadrati di scrivanie, computer, telefoni che squillano, foto che cominciano a staccarsi dalle pareti, adesivi, tazze di caffè vuote per metà. Obama ti guarda da ogni angolo, perché la sua faccia è ovunque. Così le sue parole: «Change we need». Il bagno? «Terza porta a sinistra». Chiudi la porta. Obama è anche lì: ti guarda da vicino, da un poster che qualcuno ha attaccato per non far dimenticare a nessuno qual è la missione: portare il primo uomo di Chicago alla Casa Bianca. Un giorno prima del voto questa città non pensa ad altro, non sa dire altro. Pronuncia O-b-a-m-a con mille accenti. Barack compare ovunque, anche quando scendi dal grattacielo e cominci a camminare per le strade a caccia dei suoi posti, dei suoi spazi, della sua storia. Sei dentro l’Obama tour che è già diventato un’attrazione e un business. Tra un po’ ci faranno i volantini da trovare negli alberghi e sarà fatta. Venticinque dollari non di più. Ci sarà il 14 di Erie Street: l’ingresso dello studio legale dove Barack cominciò la sua vita post laurea. Era il 1991 e fu preso da Miner Barnhill & Galland, qualcosa di più di un ufficio qualsiasi: uno dei più influenti studi legali della città, costruito da un socio di Tony Rezko, il milionario tanto chiacchierato che finanziò l’inizio dell’avventura politica di Obama. Allora no. Allora Barack era un ragazzo sveglio che voleva fare l’avvocato. Lavorava qui e poi andava a prendere Michelle leggermente più a Sud, alla Chase Tower, dove lei lavorava da Sidley & Austin, un altro studio legale, più potente di quello di Obama. Barack l’aveva frequentato da stagista, due anni prima. È lì che conobbe Michelle. Lo studio è ancora lì, sempre più ricco e sempre più potente. Vicino c’è anche la palestra di Barack. L’indirizzo è 500 North Kingsbury Street e sull’insegna c’è scritto The East Bank Club. L’ultima volta che hanno visto Obama è stato dopo il Supermartedì, il 5 febbraio scorso: è venuto a sciogliere i muscoli in una partita di basket con alcuni amici e uomini dello staff. «Però di solito gioca anche a tennis», dicono due ragazzi che sono alla reception. Sono loro che danno la traccia per la prossima tappa. Bisogna prendere il taxi: «5241 West Madison Street». Mezz’ora buona di auto, 16 dollari la corsa. MacArthur Restaurant, il covo serale di Obama. Apre la proprietaria, Linda Stokes: «Il suo piatto preferito sono le nostre cosce di tacchino. Comunque qui mangia tutto, gli piace la nostra cucina». Gelato? Poco a quanto pare. Poco adesso e non prima, se è vero che sulle tracce di Obamaland devi passare per forza da Baskin-Robbins, la gelateria dove Barack ha dato il primo bacio a Michelle. Sta molto più a Sud, siamo già vicini ad Hyde park il suo quartiere, la sua Chicago dentro Chicago. Al 1.400 della 53ª il negozio non c’è più, però c’è una specie di altarino che ricorda i lucchetti di Ponte Milvio a Roma. Su un muro sono attaccate le pagine del libro di Obama: «Da Baskin-Robbins chiesi a Michelle se potevo baciarla. Poi sentii il sapore del cioccolato del suo gelato». Non è finito il romanticismo. I luoghi di Barack prevedono anche un passaggio al South Shore Cultural Center, una residenza storica dove ci furono i festeggiamenti delle nozze. Era il 3 ottobre 1992 e la cerimonia era appena stata celebrata qualche miglia più a sud, alla Trinity Church del reverendo Jeremiah Wright, l’uomo che più ha imbarazzato Obama in questa campagna con i suoi sermoni violenti ai confini dell’anti-americanismo. Qui sono tutti obamiani. Senza voci discordi, senza riserve. Alla fine della funzione t’accompagnano per qualche isolato, direzione Nord. C’è un’ultima tappa. Serve il taxi. Si va a Kenwood, un’area residenziale piena di ville. Qui Obama scelse di venire a vivere con Michelle subito dopo l’elezione al Senato. Scelsero una casa da un milione e mezzo di dollari con un giardino infinito. Valore totale: sette milioni. Potevano permettersi la casa, ma non il terreno: gli Obama la comprarono e la terra la prese la moglie del finanziere Tony Rezko. Sei mesi, piccola magia: un pezzetto di terreno girato a Barack per fargli allargare il giardino. Un affare un po’ strano fatto con un signore che adesso è in cella per corruzione e che è uno dei buchi neri della vita di Obama. Barack ha ha giustificato, s’è anche scusato. La casa è stupenda: ora ci sono tre agenti del secret service che la sorvegliano. C’è una folla a fotografare: «La casa del prossimo presidente». Convinti. Le luci sono spente, non c’è nessuno. Arrivano tutti domani: Michelle, le figlie Sasha e Malia, poi Barack. Aspettano qui la notte del voto.

E fuori dalla finestra aspetta anche Obamaland.

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