Cronaca locale

Onegin, trionfo intimista

Mentre la Scala è a Tel Aviv con Aida e Requiem di Verdi il Piermarini viene consegnato agli artisti del Bol'šoj. La storia dei rapporti Scala-Bolshoj è una vecchia storia, nella memoria di tutti anche per l'interscambio tra i due teatri. Noi mandavamo i ballerini a perfezionarsi nella danse d'école della quale i russi restano i massimi depositari, loro mandavano le ugole a imparare l'arte nel più celebre teatro del paese del belcanto. Poi sono cominciate le trasferte di massa. La prima tournée della Scala a Mosca è del 1964. Nel '73 e ’74 avviene un doppio scambio replicato nell'89. Le ultime trasferte della Scala al Bolshoj sono del 2001, 2002 e 2004.
L'opera scelta per Milano è «Evgenij Onegin» di Caikovskij, (13, 14, 16 e 17 luglio, ore 20) titolo altamente simbolico e rappresentativo del repertorio russo. La versione, in prima nazionale, è quella varata a Mosca nel 2006 in sostituzione dell'allestimento storico ripreso ininterrottamente dal 1944. Ne è regista Dmitri Tcherniakov, uno dei nomi cult di nuova generazione che il nostro pubblico ha già avuto modo di apprezzare nella lettura esisteniale e atemporale de «Il Giocatore» di Prokof'ev, in cartellone la passata stagione con la bacchetta di Barenboim.
Quanto a «Onegin», il suo ritorno tanto ravvicinato è davvero un caso. Prima della Scala 2006 che arrivava da un Glyndebourne '94 con la regia dell'inglese Graham Vick, s'era infatti dovuti andare indietro di vent'anni. Quando, sotto la direzione di Seiji Ozawa, rimasero memorabili le recite di Mirella Freni. Anche prima dell'86 la presenza del titolo è tuttavia rarissima. Dopo il battesimo con Toscanini, nel 1900, troviamo solo un Rodzinskij del '54 e l'inclusione tra le cinque opere e il balletto proposti alla Scala dalla tournée '73 dei complessi del Bolshoj. In quell'occasione, la scena è tenuta dai due colossi vocali Galina Višnevskaja (moglie di Rostropovic) e Vladimir Atlantov.
Adesso gli artisti moscoviti sono guidati da Alxander Vedernikov, direttore musicale del Bolshoj, conosciuto alla Scala specie per le molte partiture ballettistiche, e dal regista Dmitri Tcherniakov. Con loro la costumista Mariya Danilova, il light designer Gleb Filshtinskiy, un cast di grandi voci slave, orchestra e coro del Bolshoj. La rarità delle rappresentazioni di «Onegin», massimo concentrato di lirismo intimistico, è dovuta alla scarsa spettacolarità e l'eccessiva difficoltà vocale. Al pubblico si chiede concentrazione, ai cantanti misura e intensa espressività. Il titolo, strutturato in sette scene liriche che incastonano nella banalità della routine borghese i più inquietanti risvolti psicologici, ha musica bellissima ma praticamente priva di motivi conduttori e vocalmente un po' monocorde. L'accusa è sempre stata quella di scarsa drammaticità. «Onegin» resta tuttavia il capolavoro del teatro operistico caikovkijanno accanto alla «Dama di Picche». Psicologico il primo e surreale la seconda. Anche qui un Caikovskij in controcorrente (lontano dall'affermazione nazionalisitca recuperata dai «cinque») abbraccia i modi della musica francese, italiana, tedesca… Sebbene, a ben guardare, i momenti più veri siano poi quelli dove l'anima russa rivendica orgogliosamente i suoi diritti. La genesi di «Evgenij Onegin», ricavato da Puskin, corre parallela alla stesura dei primi balletti. Un genere dove forse la vena lirica, appassionata e decadente, dell'autore si muove con maggior agio. E dove anche la tavolozza timbrica appare più ricca e la drammaturgia più dinamica.
La vicenda è una storia di sentimenti, di quelli che esistono veramente e Caikovskij ben conosce. Il lavoro, la cui genesi è corredata da ricca documentazione, è il trionfo dell'intimismo contro il taglio alla moda che impone vicende straordinarie e allestimenti esotici e grandiosi. Tanto che Caikovskij non vorrebbe consegnare a nessuno quella partitura così sua, così intrisa di autobiografismo. La passione bruciante di Tat'jana per Onegin, il dandy pietroburghese malato di spleen e incapace d'amore, è la sua. Il dolore che non si manifesta anche. Come la capacità di rinuncia. Sta di fatto che il compositore in un primo tempo (marzo 1879) concede il suo «Onegin» alla discrezione del Conservatorio di Mosca e di un gruppo di allievi. E solo molto più tardi (aprile 1881) consente che l'opera, ampliata, venga tenuta a battesimo al Bolshoj e inizi il suo cammino nel mondo. Caikovskij, innamorato di Puskin fonte del libretto, è prodigo di raccomandazioni. No eroi del belcanto ma attori, no direttori grintosi ma anime sensibili. No registi al servizio della grandeur ma sensibilità capaci di sbalzare le pulsioni interiori. Mentre i cantanti devono essere anche attori….


Intanto passano nobiltà e mondo contadino, e palazzo Gremin è una realtà chiusa, specchiata nel leitmotiv dei balli di società.

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