Stile

Ora, labora e bevi bene La regola dei padri birrai

Fra i norbertini dell'abbazia di Grimbergen, che sognano di tornare a produrre la birra qui

Alberto Milan

nostro inviato a Bruxelles

Quando il sole alto sul chiostro picchia sulla vetrata con la Fenice, per un momento anche le vesti candide dei norbertini sembrano ambrate, bionde o rosse come le loro birre. Poco più in là, la biblioteca custodisce segreti come nel Nome della rosa. E fra i 35mila volumi in fiammingo e i vecchi codici, da qualche parte c'è anche la ricetta originale. Quella che nei secoli - fra tradizione e imprenditorialità - è diventata la mitica «cervogia» Grimbergen.

Chi arriva in visita in questo paesino alle porte di Bruxelles, attratto dal grazioso museo e dal turismo brassicolo tanto di moda, sulle prime rimane sorpreso. Un bel bar con patio e giardino, nessun impianto, nessun pittoresco monaco con mestolo e grembiule. Perché la Grimbergen, come tutte le birre d'abbazia, viene prodotta lontana dall'abbazia stessa: in Francia, Germania e - per quanto riguarda i fusti alla spina - in Italia. L'ultima cotta fatta in casa (pardon, in abbazia) risale addirittura al 1798, quando i francesi demolirono la chiesa. Ma la delusione del turista dura poco. Giusto il tempo di capire che la storia del marchio, della birra e dell'Europa si possono respirare anche solo passeggiando e chiacchierando con l'abate Erik De Sutter tra le navate, il refettorio e il visitor center.

Tutto ha inizio con Norberto di Prémontré, capostipite dell'ordine agostiniano dei norbertini. Non esattamente monaci, ma religiosi che vivono nella comunità e hanno fatto dell'apertura al mondo la propria regola. Ora, labora e parla con la gente. Vivi, mangia e bevi con loro, apri le porte. In abbazia oggi ne abitano dodici, più altri in giro per i Continenti. Fanno gli educatori, lavorano con i malati e ovviamente tramandano la memoria e il carattere della birra Grimbergen.

«Ardet nec consumitur» è scritto accanto all'altare, nella basilica che dal 1128 è stata distrutta e ricostruita così tante volte da meritarsi la Fenice come simbolo. E così come l'uccello mitologico che risorge dalle proprie ceneri, anche la birra nata qui non è stata cancellata dai rivoluzionari francesi due secoli fa. Riportata sul mercato dalla Alken-Maes nel 1958 e dal 2008 nel portafoglio del colosso Carlsberg, la Grimbergen ha conquistato estimatori ovunque, soprattutto in Francia. Si è adattata alla modernità, facendo quello che gli stessi norbertini vivono come una missione: essere anello di congiunzione tra passato, presente e futuro.

Il passato è la cultura (e culto) belga della birra, così radicata che le piante di luppolo sono perfino intagliate nel legno nel coro della chiesa; il presente sono gli 1,2 milioni di ettolitri prodotti e le royalties che servono a padre Karel Stautemas - vice-priore e amministratore - per conservare e restaurare il convento; il futuro è il sogno di ricominciare a produrre birra in abbazia, come fanno i «cugini» trappisti. Piano, ipotesi o miraggio? Nessuno lo sa, ma i norbertini sorridono sornioni all'idea...

Il micro-birrificio gestito dai simpatici omoni in saio bianco che da anni tengono lezioni su malti e lieviti è un sogno affascinante. Ma la realtà non è meno piacevole e ogni dubbio sulla birra d'abbazia fatta lontano dall'abbazia dura meno della schiuma nel bicchiere di cristallo. Perché basta una degustazione per capire quanto l'identità della Fenice vada oltre marketing e tendenze. La moda vuole prodotti a bassa gradazione, iper-luppolati o acidi? E il dna Grimbergen emerge potente in direzione ostinata e contraria.

Si va dalla Blonde, l'ammiraglia di casa, fruttata e voluttuosa tra zaffate di cereale e lampi di chiodi di garofano e frutta secca, alla freschissima Blanche, beverina e aromatica con le sue note di bergamotto e coriandolo. Si sale di corpo con la Ambrée double, caramellata e speziata tanto da virare al cioccolato, fino alla Triple, dolcemente meditabonda sui toni del miele di castagno e della caramella mou. Forse solo la sperimentale Rouge, realizzata con aggiunta di frutti rossi, «concede» qualcosa al mercato, con quelle note acidule a bilanciare l'esagerato gusto di ciliegia, lampone e fragola.

Per il resto, la Fenice rimane saldamente ancorata al suo nido come i pilastri della basilica alle fondamenta. Che sia prodotta lontano da qui, oppure servita nei nuovi avveniristici fusti di Pet con tecnologia Draughtmaster che elimina il CO2, Grimbergen resta una birra d'abbazia, intimamente di nicchia. Corposa, ricca, compagna di meditazione per chi vuole prendersi un momento per sé. «Riaccendi la tua fiamma», è il motto scelto per il 2018.

Perché il fuoco del gusto è l'unico che brucia, ma non consuma.

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