Controcultura

Otto puntate-capitoli che esplorano l'(ir)reale per capire noi stessi

"Il miracolo" di Ammaniti dimostra che oggi (anche da noi) la narrazione passa dalla tv

Otto puntate-capitoli che esplorano l'(ir)reale per capire noi stessi

Si può costruire una serie tv come fosse un romanzo? Verrebbe da rispondere: «no». Al contrario, davanti alla serie tv Il miracolo, ideata dallo scrittore Niccolò Ammaniti e prodotta da Sky, bisognerebbe rispondere «sì». Il miracolo - otto episodi trasmessi nel mese (non a caso mariano) di maggio - è un grande romanzo. Il livello di scrittura (per stile riconoscibile, lingua espressiva, trama solida, dialoghi perfettamente costruiti, personaggi credibili...) è mediamente più alto dei romanzi italiani usciti nell'ultima stagione. Probabilmente migliore della tanto contestata cinquina del premio Campiello (sarebbe interessante conoscere il giudizio del critico Lorenzo Tomasin sulla qualità delle nostre serie tv) e magari anche della cinquina prossima ventura dello Strega.

Ecco, lo Strega. Niccolò Ammaniti lo vinse nel 2007 con il romanzo Come Dio comanda (diventato poi anche un film di Gabriele Salvatores). E cosa fa uno scrittore, oggi, che ha già vinto il massimo riconoscimento letterario italiano, che non deve dimostrare nulla, che può fare ciò che vuole dal punto di vista creativo? Prendiamo - solo come esempio, solo per delimitare il campo - i «colleghi» di Ammaniti che con lui facevano parte di quel gruppo che negli anni Novanta certo giornalismo si divertì a chiamare «giovani cannibali», dall'omonima fortunata antologia Einaudi. Bene. Aldo Nove ha appena pubblicano un romanzo anomalo, in bilico fra narrativa e saggio, Il professore di Viggiù (Bompiani), ma pur sempre un romanzo. Massimiliano Governi è uscito adesso con Il superstite (e/o), un libro che finge di essere «non fiction novel» ma è puro romanzo. Tiziano Scarpa a inizio anno ha pubblicato Il cipiglio del gufo (Einaudi), un romanzo «pirandelliano» molto lodato, anche su queste pagine, ma sempre romanzo. E Enrico Brizzi è in libreria da una settimana con un altro romanzo di formazione, Tu che sei di me la miglior parte (Mondadori)... Insomma, tutti, chi in maniera più sperimentale chi più tradizionale, continuano a scrivere romanzi. Niccolò Ammaniti (che pure non ha smesso, anzi: dopo lo Strega ne ha pubblicati ben tre) invece cosa fa? Con coraggio e con una non scontata intuizione, fa tutt'altro. Scarta. Sceglie un'altra forma, non solo un altro genere. Si mette a scrivere una serie tv e debutta (sebbene assistito) alla regia: otto episodi che sono otto capitoli di un romanzo televisivo, a metà fra il noir e il fantastico, che parla non di religione (c'è anche quello) ma del mistero dell'uomo (sei diversi personaggi, ma anche ognuno di noi) di fronte all'irrazionale. Il risultato - a leggere la critica televisiva e i commenti di tantissimi «lettori» - è stato ottimo e il romanzo-tv Il miracolo, rilanciato dal passaparola, è diventato un «caso».

Ora, più di uno scrittore blasonato, probabilmente, sta pensando di passare dal libro alla tv.

Ma soprattutto molti lettori si stanno chiedendo - ecco un altro miracolo - perché mai, dopo una serie del genere, devono tornare a leggere i soliti romanzetti italiani.

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