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La pace impossibile del pensionato Prodi

Il professore intercettato. Nonostante gli sforzi per defilarsi, l’ex premier continua a far parlare di sé. Purtroppo in negativo. Dalla voragine nei conti scoperta dalla Ue al mancato invito alla festa Pd. Berlusconi: "Copione già visto, deve intervenire il Parlamento"

La pace impossibile del pensionato Prodi

Poi dicono che non c’è l’allarme sicurezza: neanche sulle panchine dei giardinetti puoi stare tranquillo. Quando meno te l’aspetti, in testa piovono tegole come noccioline allo zoo.
Lo avrete capito. Immancabilmente, inevitabilmente, inesorabilmente, parliamo ancora di Romano Prodi. È sul viale del tramonto, lo dice anche lui. Il guaio è che questo famoso viale si sta rivelando una via crucis, una strada sterrata piena di voragini, un percorso infuocato zeppo di buche mastodontiche, insomma peggio della Salerno-Reggio Calabria nel pieno dell’esodo di ferragosto.
Ce lo immaginavamo appunto sulla panchina del giardino municipale a godersi la quiete del primo pomeriggio, come tutti i pensionati che si rispettino. Sulla panchina non hai niente da temere: non c’è Mastella che ti rovina la digestione, non c’è Rifondazione che ti fa venire le palpitazioni. Insomma avresti raggiunto la pace dei sensi. E invece, fatto incredibile: caduto il governo, Prodi riesce a cadere anche dalla panchina. Inutilmente lancia appelli al destino, «dimenticatemi di me». Ma niente: neanche in bicicletta riesce a smarcarsi dalla nuvoletta di Fantozzi. Avvistato giorni fa in Romagna, aveva appena fatto in tempo a dire «ora sto un po’ meglio», che patatrac. Gli è piovuta in testa la tegola delle intercettazioni: lo sapete, no? Mentre passeggiava per il già citato viale del tramonto, l’ex premier si sarebbe concesso qualche sosta in autogrill: una volta c’era da dare una spinta al nipote Luca, un’altra c’era da premere per il consuocero.
Ma questa non è la più pesante delle tegole, anche perché, sempre e comunque, esiste la presunzione di innocenza. Però la panchina di Romano aveva già cominciato a traballare giorni addietro, quando sotto Olimpiadi, l’Eurostat assegnò al professore la medaglia di mortadella per il «falso in bilancio» più grande del mondo. Più o meno trenta miliardi di euro, con i quali la sua compagine avrebbe manomesso i conti pubblici italiani al fine di caricare il deficit sulle spalle del governo di centrodestra. Ne abbiamo già parlato in queste pagine: pare che tra le fantasiose voci di bilancio, ci sia un codicillo che prevede l’accollo da parte dello Stato dei debiti delle Ferrovie per 13 miliardi. Cifretta, questa, annotata furbescamente nell’esercizio 2006. Un colpaccio che falsa le statistiche ufficiali, e fa impazzire i contabili europei ancora oggi, che l’Ulivo è morto e defunto.
Perché diciamolo. Per Prodi guidare il governo è come andare contro un muro con una macchina comprata a rate: l’auto non c’è più, ma sai che continuerai a pagarla cara. Cosa si fa in questi casi? Ci si aggrappa alla panchina dei succitati giardinetti, magari si cerca una distrazione, si legge l’ultimo sonetto di Sircana, si alzano gli occhi al cielo in segno di speranza: ed ecco che dal cielo piove la tegola Alitalia. Da una parte la velocità con cui oggi la compagnia sta ripartendo; dall’altra la triste lentezza dei tempi che furono. Ricordate la gestione della pratica sotto il governo Prodi? Sindacati in piazza, panico sui lavoratori, i francesi che s’imbizzarriscono e se ne tornano a casa. Brutti pensieri: vien voglia di alzarsi e abbandonare la beneamata panchina. Ma per andare dove? Certo, c’era la festa estiva del Partito democratico: presente Bossi e Tremonti, ma lui no. Prodi alla festa non l’hanno invitato; e se l’hanno fatto, evidentemente non ci hanno messo molto entusiasmo. Vatti a fidare degli amici.
Eppure, il problema resta: c’è un’alternativa alla panchina? Sì, d’accordo: ha piantato un ulivo a Tirana, ha presentato il suo libro a Riccione, ha ricevuto il premio «Abolizionista dell’anno» (ma esiste davvero?) da Emma Bonino. Però come si muove un po’ troppo lo fulminano. In una botta di vita, al Festival dell’Europa di Pesaro, Romano ha manifestato la «disponibilità» a ricoprire un ruolo internazionale. C’era libera la presidenza dell’Unesco: incarico prestigioso. E infatti, notizia fresca, pare che lo affibbieranno a Ingrid Betancourt. Ma poi, cosa passa il convento? Ci sarebbe la poltrona da primo presidente permanente dell’Unione europea, ma i numeri sono quelli che sono: basti dire che i bookmaker inglesi lo danno 1 a 13, mentre Tony Blair ha il doppio delle possibilità. Roba che ti vien voglia di sfasciare la panchina con tutti i giardinetti. L’avessero almeno invitato a Denver con l’allegra brigata del Pd, si sarebbe certo divertito, avrebbe chiacchierato con Sean Penn e Lapo Pistelli, e magari, proprio come ha fatto Veltroni, avrebbe visto Obama. Da lontano, ma l’avrebbe visto.
Ma è inutile. A Prodi non resta che rassegnarsi: non lo rimpiangiamo, ma certo lo comprendiamo. Nella convinzione che presto, su quella benedetta panchina, la pioggia di tegole finirà.

E nella speranza che sopra la testa, dopo le tegole, non arrivino i piccioni.

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