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La pace può avere i cristiani come protagonisti

«Mi presento: sono il vescovo emerito di Gerusalemme. Il Vescovo non è un signore, il Vescovo è un servitore, un pastore, e il pastore, vedendo il lupo arrivare, si sacrifica per salvare il suo gregge». Parlava così, qualche mese fa, ai microfoni della Mav Television di Roberto Mastroianni, Hilarion Capucci, vescovo metropolita della chiesa greco-melchita cattolica, noto per le sue posizioni filo palestinesi. Lo faceva in occasione dell’ottantacinquesimo compleanno del suo vecchio amico don Pierino Gelmini, già esarca della stessa chiesa, durante un’intervista in esclusiva a cui ebbi la fortuna di assistere.

Patriarca emerito di Gerusalemme, anni 88, di cui 4 trascorsi in carcere in Israele, dopo una condanna a 12 anni di detenzione e una scarcerazione ottenuta per l'intercessione di Papa Paolo VI, Capucci era su una delle navi turche partite alla volta di Gaza. Anni fa l'accusa, tra le più gravi, era la collaborazione all'importazione di armi per i palestinesi, popolo da cui il vescovo melchita proviene e che ha sempre sognato di veder vivere in pace, libertà e autonomia, insieme agli altri popoli di un insanguinato Medio Oriente, terra già percorsa da Abramo, Mosé, Gesù Cristo e Maometto, e ora bubbone purulento di un conflitto che pare non trovare soluzioni, e che rischia di fare suppurare il Mediterraneo e forse l'intero pianeta.

«Il mio gregge, in quanto arcivescovo di Gerusalemme, è il popolo palestinese, e questo purtroppo è un popolo sofferente. Il pane quotidiano, il compagno di ogni giorno di ogni palestinese, è la sofferenza: fisicamente, moralmente, spiritualmente». Così continuava, reduce da poche settimane di un sequestro e un arresto analoghi a quello subito in queste ore e in circostanze molto simili. «Un padre non potrebbe vedere suo figlio soffrire rimanendo indifferente. Il padre fa di tutto, fa il possibile per aiutare e salvare suo figlio. Il popolo palestinese è mio figlio senza nessuna discriminazione. Tutti, musulmani e cristiani, sono miei figli».

Effettivamente la presenza dei cristiani come elemento di interposizione e di pace, in un Medio Oriente lacerato tra ebrei e musulmani, ha funzionato e continua a funzionare in una città come Gerusalemme, dove per esempio l'abbondanza di pellegrini delle tre grandi religioni di Abramo, costringe un po' tutti, non foss'altro che per concretissimi interessi anche turistici, a lavorare, a collaborare e dialogare per il bene comune. Peccato che la condizione dei cristiani di tutto il Medio Oriente, cominciando proprio dal martoriatissimo Irak, abbia prodotto una diaspora e fuga degli stessi, che rischia di rendere i discepoli di Gesù di Nazareth una specie in via di estinzione, con effetti immensamente negativi sul futuro della pace. Anche Papa Benedetto XVI ha recentemente molto insistito sulla necessità che la presenza delle comunità cristiane venga tutelata in tutto il Medio Oriente. Corre infatti il rischio di diventare una specie di vaso di coccio fra i vasi di ferro dell'integralismo islamico stile Hezbollah e Hamas e la durezza presentata come inevitabile dagli ultimi governi israeliani. «Vedendo la carneficina compiuta ultimamente a Gaza, bambini che muoiono di fame, ammalati che muoiono perché senza medicine, palazzi distrutti su gente morente, ho pianto».

E il problema continua a porsi, la coabitazione pacifica tra ebrei e musulmani ha bisogno del ruolo dei cristiani e di uno status per la città di Gerusalemme, sì capitale dello Stato di Israele, ma anche Terra Santa e luogo di pellegrinaggio delle grandi religioni del deserto. Se questa profezia di pace non si realizzerà, ferite antiche non si rimargineranno e se ne apriranno continuamente delle nuove. Navi di pace porteranno armi, operazioni di polizia faranno morti innocenti, ebrei, musulmani e cristiani non potranno mai più vivere in pace.

Sarebbe la tragica prospettiva dell'apocalisse.

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