Cultura e Spettacoli

PALAHNIUK Non aprite quel romanzo

«Haunted» è l’ultimo libro dello scrittore più crudo e materiale del nostro tempo: un «novel of stories» vietato ai minori

Mi sono sempre chiesto perché alcuni film sono vietati ai minori e i libri invece no. Intendiamoci, non sto rimpiangendo la censura. È che la cosa mi pare strana, dato che ci sono libri che ti fanno saltare il cuore in gola molto più di certi film, e romanzi ben più eccitanti e trasgressivi di tante pellicole a luci rosse. Uno di questi, non ancora uscito in Italia, dovrebbe essere vietato almeno ai minori di 18 anni. Anzi, dovrebbe recare sulla copertina delle avvertenze per i consumatori, come i pacchetti delle sigarette. Uno dei racconti che lo compongono, letto in pubblico, ha causato sinora una sessantina di svenimenti (di almeno due dei quali, in Italia, ho la prova).
È il nuovo lavoro di Chuck Palahniuk, Haunted (Doubleday, pagg. 404, dollari 24,95), che uscirà prossimamente in italiano per Mondadori con il titolo Cavie. Definirlo romanzo è però improprio. Decisamente meglio la definizione riportata sul frontespizio, novel of stories: «romanzo di storie». Le «storie» sono 21 poesie e 23 racconti legati da un fil rouge narrativo.
I riferimenti letterari per questa peculiare architettura sono ovviamente il Decamerone e I racconti di Canterbury di Chaucer, ma anche la notte di tempesta del 16 giugno 1816 a Villa Diodati sul lago di Ginevra - più volte richiamata nel libro - in cui Byron, Shelley, Mary Wollstonecraft Godwin e John Polidori, delusi dalla raccolta tedesca di racconti di fantasmi che stavano leggendo, raccolsero la sfida lanciata dallo stesso Byron di scrivere una storia dell’orrore veramente spaventosa. In quella notte nacquero due miti vivi (si fa per dire...) ancora oggi: Frankenstein e il Vampiro. Chi ricorda il film Gothic di Ken Russell può avere un’idea dell’atmosfera di quella notte. E può farsi un’idea anche del tenore delle pagine di Haunted. Molto appropriatamente, la citazione in apertura del libro è tratta dal racconto La maschera della Morte Rossa di Edgar Allan Poe. Haunted, come la sala da ballo di quel racconto, contiene infatti «cose belle, bizzarre, terribili, e non poche disgustose».
La storia è questa: diciassette aspiranti scrittori, rispondendo a un annuncio apparso sui muri della loro città, accettano di passare tre mesi in completo isolamento. Palahniuk ci ha abituato a personaggi bizzarri, ma in questo libro si è davvero scatenato. Dall’ospite Mr. Whittier alla sua assistente Mrs. Clark, allo scheletrico Saint Gut-Free, a Miss America, Sister Vigilante e Lady Baglady, i personaggi sono un catalogo di comportamenti assurdi e bizzarre biografie, mano a mano vengono svelate dai loro racconti. Quello che hanno in comune è la volontà di affrancarsi, attraverso il successo letterario, dalle loro vite. L’isolamento di tre mesi dovrebbe consentire loro di trovare la creatività, la libertà, il successo. Una specie di «Grande Fratello» letterario, insomma.
L’inizio del libro è fulminante: un autobus passa di notte attraverso una città deserta - sinistro come l’autobus Nottetempo del film Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban - per raccogliere quelle che ancora non sanno di essere le cavie di un esperimento. Gli aspiranti scrittori salgono, portandosi dietro il loro bagaglio: uno solo a persona, come specificato nell’annuncio, sinistra (e certo non casuale) eco delle istruzioni dei nazisti ai deportati nei campi di sterminio. La loro meta è un fatiscente teatro in una zona abbandonata della città, dove vengono accolti dal loro anfitrione e mentore, Mr. Whittier, un vecchio (forse, ma non è detto...) immobilizzato in una sedia a rotelle. Alzi la mano chi non ha pensato al film Invito a cena con delitto. Difficile non visualizzare Mr. Whittier come Truman Capote (soprattutto dopo aver letto il finale).
Ben presto la sistemazione ideale per scrivere si rivela per quello che è: una trappola. La cucina da gourmet che era stata promessa è in realtà a base di immondi cibi disidratati, e dal teatro è impossibile uscire. Le finestre sono murate, le porte sprangate. Ma fuggire di lì non rientra certo fra le priorità degli aspiranti scrittori, che hanno in mente solo il miraggio del successo: le interviste, i talk show, Hollywood. La scrittura non è un obiettivo, ma un mezzo per raggiungere la fama. Pur di farcela sono disposti a ogni bassezza, ad ogni sacrificio. Presto si inventano il film della loro prigionia e del loro salvataggio, e arrivano a vedersi come protagonisti di quel film, a immaginare gli attori che interpreteranno i loro ruoli e calcolare le quote per la divisione degli incassi, quote sempre più alte a mano a mano che gli scrittori cominciano a morire. Perché ben presto il teatro diventa un mattatoio. In un delirio suicida i segregati sabotano l’impianto di riscaldamento, le lavatrici, le toilette. Distruggono le scorte di cibo. Spaccano tutte le lampadine. Scelgono di patire il freddo, la sporcizia e la fame, fino a diventare protagonisti di una tragedia elisabettiana. Si vestono con sgargianti e polverosi costumi di scena, inzuppati dal sangue delle loro automutilazioni. Tutto pur di rendere più interessante e cinematografica la loro segregazione. In poco tempo la loro situazione si fa intollerabile. E i loro racconti riflettono l’abisso in cui precipitano: omicidi, atti di sadismo, episodi di antropofagia... Finché non scoprono con terrore di non essere i primi: altri prima di loro hanno affrontato quell’ordalia. Altri che forse non sono mai tornati.
Bisogna avere lo stomaco forte per affrontare questo libro. Per riuscire a leggere di un neonato cotto al microonde e servito alla madre, a sua volta poi divorata. Sempre più forte a mano a mano che la storia procede. I racconti spalancano abissi. Non tutti sono perfetti, ma almeno quattro (Exodus, Cassandra, Something’s Got to Give e Obsolete) sono splendidi. E disturbanti, sia che parlino della razza umana che sceglie il suicidio globale per reincarnarsi nel paradiso promesso da una sonda su Venere, o del feto abortito da Marilyn Monroe custodito sullo scaffale di un negozio di antiquariato, o della decomposizione del corpo di una ragazza (brano splendido nel suo orrore, emblema di un’ossessione quasi medievale per la morte). Intendiamoci, Palahniuk sa essere spesso anche divertente, facendo leva però sul grottesco, come quando fa dire a uno dei suoi protagonisti che «Anna Frank almeno si è risparmiata il tour promozionale del suo libro».
Se dovessi inventare un termine per definire lo stile narrativo di Palahniuk direi che è un minimalismo multidimensionale. La fonte è sempre quella, il minimalismo, e lo dimostra l’omaggio continuo reso dall’autore, in interviste e presentazioni, alla scrittrice Amy Hempel. Ma Palahniuk usa il minimalismo per raggiungere risultati obliqui, stranianti. Il suo inglese apparentemente secco e spoglio apre prospettive vertiginose. Chuck non ozia su una bella frase: è un costruttore di storie tese, di quelle che afferrano il lettore e lo scrollano su e giù senza mai mollare la presa. Storie mastine, come il racconto Cora, dove, parlando della bambola Breather Betty su cui si esercitano in tutto il mondo da 100 anni a fare la respirazione artificiale, Palahniuk rivela che è modellata sul calco di una ragazza morta suicida nella Senna alla fine dell’Ottocento. The girl who turned herself into an object, «La ragazza che si trasformò in un oggetto».
Lo scrittore più crudo e «materiale» del nostro tempo è anche il più evocativo. E in certo modo anche il più mistico. Tematiche religiose marcano ogni sua opera. Il giorno in cui dovesse decidere di inventarsi un culto, le religioni istituzionali stiano in campana: oltre ad avere già un buon numero di proseliti, Chuck è senz’altro in grado di creare le basi di una nuova fede.
Come dicevo, Haunted è un libro che dovrebbe recare delle avvertenze per i lettori. Tipo: «Sconsigliato agli stomaci deboli». Certamente non nuoce alla salute, né all’intelligenza del lettore. Metafora sociale, bilancio d’inizio millennio, profezia religiosa, in qualunque modo lo si voglia prendere, questo «romanzo di storie» ha un contenuto eversivo incredibile, e sta al suo autore e al suo pensiero come il film Salò sta a Pier Paolo Pasolini.

Qualsiasi opera possa scrivere d’ora in avanti Chuck Palahniuk, qualunque risultato possa raggiungere in futuro, con Haunted ha già scritto, a nome non solo suo ma dei nostri tempi, il più lucido e terribile testamento.

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