Cultura e Spettacoli

Pansa furioso: «Sbaglia chi lo blocca»

da Roma

Il «forastico» Giampaolo Pansa ha appena visto Il sangue dei vinti. «Il mio giudizio? Mi ha emozionato e commosso, per l'intensità. Guardi, io ricordo molte cose sulla guerra civile, a partire da Tiro al piccione di Montaldo. Ma mai l'ho vista così vera, non dico realistica, come stavolta. Soavi ha saputo interpretare l'aspetto fondamentale di quella guerra: il fare terra bruciata, i due fronti che si massacrano con la stessa crudeltà». Il giornalista-scrittore è pronto a dare battaglia per difendere Il sangue dei vinti anche da quegli attori che si sono variamente sfilati: «Sono dei vigliacchi, li vorrei avere di fronte e li asfalterei». Ci sono voluti cinque anni perché il libro, al centro di infinite controversie, accusato di indebito revisionismo, trovasse la sua trasposizione cine-televisiva. A Pansa è talmente piaciuta da invitare gli autori a togliere l'avverbio «liberamente» dalla formula classica sui titoli di testa. «Dentro il libro, un elenco di nomi e di episodi, c’è tutto e niente. Ma il tutto, ovvero il senso di sfacelo e disumanità che va al di là della causa, giusta o sbagliata che fosse, l'ho ritrovato intatto nel film. Gli sceneggiatori dovevano per forza inventarsi una storia, dei personaggi, lo sviluppo delle psicologie. So che Soavi viene dal cinema horror. Una passione che l'ha aiutato. Perché cos’altro fu, se non un orrore interminabile, quella guerra tra italiani?».
Nel film Dogliani, il commissario di polizia «fascista» incarnato da Placido, alla fine sopravvive, ma perde tutto: i genitori, il fratello partigiano, la sorella repubblichina. «La guerra civile durò formalmente venti mesi, in realtà proseguì per altri due anni dopo il 25 aprile '45. È la più grande tragedia italiana, non smette mai di sanguinare. Altrimenti non sarebbe riesplosa in questi giorni con la vittoria di Alemanno a Roma». Caustico verso Bocca, che chiama «l'uomo di Cuneo», Pansa ce l'ha anche con Andrea Purgatori: «Qualche sera fa, a Controcorrente, ha rievocato la telefonata tra Saccà e Berlusconi tirando in ballo, accanto a Barbarossa, anche Il sangue dei vinti. Parlandone con fastidio, supponenza. Ma perché? Questi finti intellettuali di sinistra si sono presi due legnate storiche e continuano a non capire, insistono su una lettura sbagliata. Le minestracce retoriche vanno benissimo, Il sangue dei vinti no.

Dia retta a me: se Fracassi, invece di sfidare tanta ostilità, avesse prodotto un film sul sangue dei vincitori, nessuno avrebbe fiatato».

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