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Parlamentari intercettati, Consulta: "Serve sempre la richiesta della Camera"

Per usare intercettazioni in cui sono coinvolti anche per caso i parlamentari, il giudice dovrà sempre richiedere l’autorizzazione della Camera di competenza

Parlamentari intercettati, 
Consulta: "Serve sempre 
la richiesta della Camera"

Roma - Per usare intercettazioni telefoniche in cui sono coinvolti - anche "casualmente" - i parlamentari, il giudice dovrà sempre richiedere l’autorizzazione della Camera o del Senato (a seconda dell’appartenenza). La Corte Costituzionale ha infatti respinto per "manifesta inammissibilità" la questione di legittimità costituzionale sollevata dal gip del tribunale di Napoli nel procedimento che ha riguardato Clemente Mastella.

La decisione della Consulta Secondo il magistrato partenopeo, l’articolo 6 era incostituzionale: impugnato "stabilisce che il giudice deve chiedere alla Camera competente la relativa autorizzazione". Non solo. Nel ricorso alla Consulta, il gip "dubita della legittimità costituzionale della norma impugnata, nella parte in cui esige siffatta autorizzazione con riferimento ad intercettazioni occasionali, per le quali, anche alla luce della sentenza di questa Corte, essa non sarebbe giustificata, ed anzi sarebbe vietata, dalla Costituzione".

Il rischio del fumus persecutionis Di conseguenza, secondo il ricorso, "quest’ultima disposizione costituzionale avrebbe ad oggetto le sole intercettazioni disposte a carico del parlamentare o comunque finalizzate a captare le conversazioni di quest’ultimo, giacchè per esse soltanto si potrebbe palesare un fumus persecutionis da parte dell’Autorità giudiziaria, che spetta alla Camera apprezzare in sede di autorizzazione". Per il gip "sarebbero, inoltre, lesi l’articolo 3 della Costituzione, in ragione dell’ingiustificato privilegio attribuito ai membri del Parlamento, e gli articoli 102 e 104 della Costituzione, quanto all’indebita ingerenza che, per tale via, la Camera eserciterebbe sull’esercizio dell’attività giurisdizionale, con particolare riferimento alla 'utilizzabilità' di prove già acquisitè". Su questo punto, cioè quello delle prove, nel ricorso alla Corte si precisa che "le intercettazioni in oggetto, di cui è necessaria l’acquisizione, sono senza dubbio occasionali, poichè disposte sulle utenze di due indagati che non sono 'interlocutori abituali' del parlamentare, e poichè la stessa mole di conversazioni intercettate induce il concetto di 'occasionalità' della captazione".

Gli spiragli lasciati aperti La Corte Costituzionale, pur respingendo il ricorso, ha lasciato qualche spiraglio aperto, laddove ha invitato il giudice a motivare meglio la questione ("la carente motivazione sulla rilevanza determina la manifesta inammissibilità della questione"): "Ai fini della rilevanza della questione, il rimettente avrebbe dovuto motivare adeguatamente in ordine alla natura casuale delle intercettazioni oggetto, nel caso di specie, di istanza di utilizzazione da parte del pubblico ministero". Quindi, "sotto tale profilo, l’ordinanza di rimessione risulta carente, in particolare poichè manca di precisare con la necessaria univocità quando il parlamentare sia divenuto indagato, in rapporto all’epoca in cui fu captato, o comunque quando siano emersi indizi di reità a suo carico, al fine di escludere poi, con altrettanta esaustività, che l’intercettazione delle utenze dei terzi, anche alla luce della durata di esse, sia divenuta uno strumento impiegato dall’Autorità giudiziaria al fine di acquisire elementi di prova a carico del membro del Parlamento". E, "infatti n tale ultimo caso l’intercettazione non potrebbe ritenersi casuale".

Insomma, la Consulta ha ricordato nella propria ordinanza che un’analoga richiesta "con le medesime carenze di motivazione, è già stata dichiarata inammissibile da questa Corte".

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