Roma

«Paste fredde? Meglio l’amatriciana»

«Scegliete quelle industriali: tengono meglio la cottura. E poi ingredienti semplici e saporiti»

Chiara Cirillo

Fosse per lui, mangeremmo amatriciana anche d’estate. Ma siccome questa è la stagione delle paste fredde, abbiamo deciso di chiedere qualche consiglio a colui che ha sdoganato in tutto il mondo la Cacio e pepe: Antonello Colonna da Labico.
Colonna, oltre che nella temperatura, in che cosa la pasta fredda differisce da quella fumante e ben condita?
«Sono due cose ben diverse, due sapori opposti, due sensazioni completamente differenti per il palato. Ci sono moltissimi modi per preparare una buona pasta fredda, ma ci sono determinati accorgimenti dai quali non si deve assolutamente prescindere. Poi lasciamo che la fantasia di ognuno faccia il resto».
Dicevamo degli accorgimenti...
«Innanzitutto si deve acquistare una pasta che reagisca senza problemi alla cottura della pasta fredda e forse, ahimé, in questo caso (ma solo in questo) sono più adatte le paste industriali proprio perché hanno un punto di cottura più alto rispetto alle paste fresche o alle creazioni dei pastifici artigianali: queste ultime infatti hanno un essiccazione inferiore a 60 gradi e ciò facilita di gran lunga l’elaborazione. Scelto il formato, la pasta va fatta bollire, va scolata, va distesa su un piano freddo, senza essere assolutamente asciugata, poi si aggiunge olio d’oliva e si amalgama il tutto. Da questo momento la nostra base per la pasta fredda si può conservare senza subire alcuna alterazione e condire a piacimento».
Può consigliarci una pasta fredda davvero sorprendente per l’estate 2006?
«La pasta sorprendente... vuole scherzare? Non esiste una pasta sorprendente, può al massimo esistere una pasta che piace e la migliore è quella che si prepara con prodotti semplici, non troppo elaborati ma ricercati e originali. Quindi una pasta che racchiude i sapori d’estate, con un po’ di pesce azzurro o di verdura, ad esempio, o profumata di erbe aromatiche oppure colorata di spezie piccanti; l’importante è che sia semplice e buona».
C’è una via per coniugare la nostra tradizione romanesca di primi ricchi e sapidi con le esigenze estive di piatti più leggeri?
«La nostra tradizione è fantastica, al limite del sensazionale. È vero, è ricca di sapori nascosti, di prodotti genuini, ecco perché anche in un semplice piatto al pomodoro qui da noi si assapora il vero e intenso gusto. Non è perché voglio vantarmi, ma sono fiero di far parte di questa grande tradizione. E poi, diciamocelo chiaramente: a Roma tutti amano mangiare e bene, amano con eleganza il buon cibo. Qui a Roma e dintorni - si sa - non si va tanto leggeri con i condimenti e spesso sono davvero troppo ricchi. E quindi, certo, fanno un po’ a botte con quella cultura del “light” tanto in voga. Oggi va di moda il leggero, il poco condito, il cibo che non fa male, povero di grassi e che non appesantisce e allora... ecco che la nostra tradizione romana non è più valida, o meglio, non sarebbe più apprezzata ma...».
Ma?
«Non è che il mio ristorante vicino alla capitale ospita clienti solo da ottobre ad aprile. Il cibo bisogna saperlo cucinare, bisogna saperlo accompagnare in tavola, occorre impegno e dedizione dietro la trippa o il capretto anche in estate. Noi non ci preoccupiamo del light. E poi quale cucina invernale o estiva, in cucina non esiste stagione, basta cambiare abbigliamento.

Un’amatriciana d’estate? Basta mangiarla senza indossare un maglione di lana!».

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