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La pazza idea del Vaticano Vendere le chiese vuote è fare un regalo agli islamici

Immaginiamo la scena. Cartello fuori da un ufficio immobiliare: «Chiesa vendesi, trattativa riservata». Domanda del possibile cliente: «Arredata o no? Riscaldamento autonomo?». Risposta: «Su questo ci intendiamo. I confessionali possono funzionare da privé, la sacrestia da sala per un pokerino. La cosa positiva di questa chiesa è che è libera subito. Viene via a poco. Sa, per far digerire questa cessione alle beghine, la curia ha dovuto spiegare che è brutta».
La chiesa in vendita - sia chiaro - non è quella con la «c» maiuscola, non è quella su cui le potenze degli inferi «non prevalebunt». Per quelle in muratura, invece, si può studiare la pratica. Si potrà mettere sul mercato una basilica, e simili traffici però non saranno accusati di simonia, il peccato che deve il suo nome a Simon Mago a cui l'apostolo Pietro applicò sui due piedi la pena di morte (lucrava sulle vendite dei beni per la Chiesa). C'è l'autorizzazione papale. L'arcivescovo Gianfranco Ravasi, ministro della Cultura vaticano, ha annunciato: «Le chiese che rimangono vuote di fedeli, che non hanno valore né per l'arte né per la memoria e la tradizione, possono anche essere vendute o demolite, qualora risultino troppo onerose per le diocesi locali».
Ci si imbatte di tanto in tanto in costruzioni con certe curvature e orpelli tipici di dimore divine. Immaginavamo che questo cambio d'uso fosse stato causato da espropri antichi, magari napoleonici, quando il Bonaparte discese in Italia sulla fine del '700 e confiscò, demolì, rubò, soprattutto rubò, opere sacre. Capita così di entrare in ristoranti con nomi evocatori di monasteri, eremi e conventi e di venire informati dall'oste che si sta lavorando di forchetta e mandibole nei pressi di un altare trasformato in sostegno marmoreo a formaggi e prosciutti. Ora però sono i preti a vendere, e non per sacrilegio, ma per lo stesso motivo per cui si chiude un negozio che non vende più la propria merce.
In Francia accade da parecchio tempo, da subito dopo la fine del Concilio. Non si sa se sono prima cominciati a diminuire i preti o i fedeli. Fatto sta che sono calati tutti e due, e come le case dei borghi lombardi dopo la peste, molte sacre dimore sono diventate inutili, da vendere a forestieri. Nei Paesi ex comunisti gli edifici di culto erano stati restituiti alla Chiesa cattolica. Nel frattempo però l'ateismo ha fatto strage di fedeli. E dopo che quelle mura - durante il regime - erano state spogliate di ogni profumo religioso e avevano ospitato grano e segala, biciclette o proiezioni cinematografiche, riconsacrate e inutili. Meglio rivenderle. Fare gruzzolo, e spenderlo per opere missionarie.
Tutto questo però, almeno ufficialmente, non era mai stato proclamato come regola. E in Italia non era ancora accaduto. Ora pare proprio che si sia arrivati a questa resa. Fare cassa con edifici che ormai sono diventati solo un peso. Dal punto di vista tecnico - diciamo teologico - non c'è nulla di male. Le chiese si sconsacrano senza scandali da sempre. Anche nella Penisola. Una città si spopola, una strada su cui sorgeva un piccolo santuario viene dismessa. Ma questa è la prima volta da duemila anni a questa parte che - almeno a nostra conoscenza - si dà il via a una dismissione programmata delle officine evangeliche. Il tutto su direttiva di Roma. Non per ordine malvagio dei principi ma su pia disposizione dei cardinali.
Vogliamo dircelo? Proprio adesso, questo discorso certo di buon senso, congruo dal punto di vista del buon padre di famiglia che deve preservare l'argenteria e disfarsi del ciarpame superfluo; proprio adesso che l'Europa ci toglie il crocifisso dalle pareti; proprio adesso svendere sembra davvero darla vinta a chi vuole trasformare il nostro Paese in terra senza più campane, con campanili trasformati in torri commerciali di richiamo al supermarket, o addirittura in minareti. Come una foresta ombrosa che si ritira dinanzi al deserto avanzante, si restringe lo spazio di ciò che è cristiano, non importa se è brutto, però c'era quel segno, e adesso non va più, è destinato a diventare reperto di mode passate. È l'ammissione di una sconfitta, condita con belle parole e un sorriso, ma resta che si vendono i vuoti. Vuoti anche spirituali. Il problema è che i principali acquirenti sono i musulmani. Essi riempiono il vuoto - il relativismo e l'edonismo dominanti sono il vuoto - e vogliono chiese da trasformare in moschee. In Francia si è fatto questo clamoroso commercio. Da sacro a sacro, cambia il gestore. Menù etnico più saporito. Si sono pentiti troppo tardi della scemenza.
Monsignor Ravasi non ha accennato a questo in conferenza stampa. Ha esortato le conferenze episcopali nazionali a prestare molta attenzione a cosa diventeranno i luoghi sacri cattolici, ed ha citato l'esempio di una basilica in Ungheria «dismessa» e trasformata in un night club dove ogni sera avviene lo spogliarello sull'altare. Risate. Ma - posso dirlo? - è peggio se diventa terreno conquistato dai musulmani. In Francia è accaduto negli anni '80. Lo si è fatto per ignoranza. Per l'Islam acquistare una chiesa è conquistare un pezzo di mondo per sempre ad Allah, instaurarvi un regno sottomesso al Corano. Dunque se si deve vendere si venda. Non è una tragedia. Il cristianesimo non punta all'egemonia. Come ha spiegato papa Ratzinger oggi non finge di essere maggioranza ma conta su «minoranze creative» decisive per il bene di tutti.

Ma sarà bene che oltre che creative queste minoranze siano anche intelligenti, e non vendano i cannoni ai giannizzeri del sultano.

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