Il Pd finisce nel pantano sulla cacciata del sindaco

Orfini replica a Renzi che voleva il passo indietro: "Richiesta irricevibile". Il partito è già spaccato E il prefetto Gabrielli: "Scioglimento non escluso"

Il Pd finisce nel pantano sulla cacciata del sindaco

«Richiesta irricevibile». È il presidente del Pd Matteo Orfini ad alzare il muro contro chi chiede a gran voce le dimissioni sindaco di Roma. Si riferisce ufficialmente alle opposizioni in Campidoglio, ma la frase suona – e vuole suonare - come una netta presa di distanza anche da Matteo Renzi.

Le foto dei due Mattei intenti a giocare alla Playstation sono ormai un ricordo: sulla questione romana c'è stato il primo strappo tra la sinistra dei Giovani Turchi e la maggioranza renziana: «Marino non va via perché lo dice il presidente del Consiglio, è stato scelto dagli elettori Pd con le primarie e poi dal voto degli elettori romani», scandisce Orfini, dopo aver escluso che il prefetto Gabrielli, che sulla base della relazione degli ispettori su Mafia Capitale dovrà indicare al governo la strada da seguire, possa chiedere lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Una smentita al premier, che segue a un confronto diretto e piuttosto vivace tra i due: ieri sera i due si sono parlati, con toni assai accesi raccontano da entrambi i lati. Tanto che Orfini avrebbe minacciato di dimettersi da commissario del partito romano: «Visto che mi hai scavalcato, smentendo la mia linea senza neppure avvertirmi, tanto vale che al posto mio tu ci metta Luca Lotti». In verità, già ieri sera – alla riunione di corrente dei Giovani Turchi - la temperatura dello scontro sembrava avviata a scemare: «Orfini ha ragione, ma se ci mettiamo a fare un braccio di ferro con Renzi ne usciamo sconfitti, su Marino non cambierà idea», spiegava un parlamentare della corrente. Nel frattempo anche il prefetto Gabrielli smentisce Orfini: «Confido che le sue dichiarazioni non siano state interpretate correttamente», perché sullo scioglimento «il prefetto non si è ancora formato alcun convincimento».

La decisione del premier però deve fare i conti, oltre che con l'opposizione di Orfini («Che difende Marino ma lavora per una propria futura candidatura a sindaco di Roma», insinua un esponente renziano), con la strenua resistenza del sindaco. La situazione in Campidoglio resta per ora incartata. A meno che a sbloccarla non sia Sel, che oggi terrà la propria assemblea cittadina per indire una sorta di «referendum» nella propria base. «E la spinta per mollare Marino è molto forte», ammettono i dirigenti di Sel. La partita sarà lunga, ma a Palazzo Chigi la strada è segnata, spiega un esponente di governo: «L'idea di Renzi è di tenere insieme, in primavera, il referendum confermativo sulla riforma della Costituzione con le amministrative a Milano, Napoli, Torino, Bologna. E anche Roma». Con l'obiettivo di farne una partita unica, mettendoci la propria faccia e il destino del governo delle riforme, politicizzando al massimo un voto difficile. Per approvare la riforma della Costituzione, però, occorre superare il Vietnam del Senato, dove la minoranza Pd tiene in ostaggio il governo. E qui potrebbe avere un ruolo importante Vasco Errani, l'ex governatore emiliano che sta per uscire riabilitato dal processo (ieri la Cassazione ha annullato con rinvio la sua condanna per falso ideologico) che lo portò a dimettersi: potrebbe assumere la guida della sinistra Pd dialogante e trovare l'accordo interno sulla riforma del Senato, scritta con la sua collaborazione.

Sulla riforma della scuola, bloccata anch'essa al Senato dove la minoranza Pd ha due voti decisivi in commissione, Renzi sta giocando la sua mano di poker: ieri si è detto pronto a ragionare di alcune modifiche, a patto però che si sblocchi l'ostruzionismo e si mandi in aula subito il provvedimento. Altrimenti «saltano gli investimenti e l'assunzione di 100mila precari».

Ed è pronto a sfidare la minoranza: in commissione prima («Se mi mandano sotto sui punti chiave della riforma, sono pronto a salire al Colle», ha fatto sapere) e in Aula poi, dove potrebbe mettere la fiducia su un maxi-emendamento: «Votino pure contro, e andiamo tutti a casa».

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