Politica

Il Pdl resta un traguardo, nonostante Fini

Gentile direttore,
nella mia qualità di coordinatore del Popolo della Libertà sento il dovere di esprimere un giudizio in merito alle riflessioni, politiche e non, contenute nel suo editoriale di ieri.
Condivido l’argomento secondo cui gli italiani non comprendono appieno quello che è avvenuto all’interno del Popolo della Libertà. Non condivido invece la sua convinzione che tutto sia avvenuto a causa dell’errore di avere dato vita al Popolo della Libertà e, sembra di capire, a causa dell’irrazionalità e infantilità del comportamento dei principali protagonisti politici.

L’opinione che vado ripetendo da molto tempo è, al contrario, che tutto quanto ha origine dagli strappi politici e programmatici che il presidente della Camera ha operato verso il partito che un anno fa aveva contribuito a fondare, sia pure con esplicite riserve.
Chi le scrive, caro direttore, è la persona che, insieme al presidente Berlusconi, ha creduto più di chiunque altro alla nascita del Popolo della Libertà e alla necessità di costruire un partito dei moderati pienamente democratico in cui si potessero riconoscere tutti gli italiani che non si sentono rappresentati dalla sinistra. Un anno fa invitai Gianfranco Fini alla scuola di Gubbio per rendere esplicita la volontà di rendere il Popolo della Libertà un partito democratico all’interno del quale le posizioni di Fini potevano avere non solo piena legittimità, ma anche concorrere all’arricchimento della nostra offerta politica e di governo. Già allora potei constatare che la volontà di Fini non era quella di rivendicare la possibilità di un legittimo dissenso all’interno del partito, bensì quella di logorare l’azione del governo, attraverso uno stillicidio continuo di polemiche quotidiane e di picconare pubblicamente un partito appena fondato, un partito che aveva riportato successi in tutte le competizioni elettorali, nazionali e amministrative.

La rottura è perciò totalmente ascrivibile a Fini, il quale infatti nel corso di un incontro chiarificatore voluto da Berlusconi gli annunciò per tutta risposta la decisione di voler costituire gruppi autonomi in Parlamento. Voglio altresì precisare, soprattutto a beneficio dei Suoi lettori e di coloro che nel futuro ricostruiranno queste vicende, che tutto si può rimproverare al presidente Berlusconi all’infuori di una linea dettata dall’impulsività e dall’irrazionalità. Ancor meno gli si può imputare la responsabilità della rottura con Fini, perché al contrario egli ha cercato fino all’ultimo una composizione e una ricucitura.

Di fronte all’atteggiamento di Fini, esplicitamente votato fin dall’inizio e perfino provocatoriamente alla spaccatura del Popolo della Libertà, Berlusconi durante ben quattro riunioni alle quali parteciparono tutti i dirigenti del partito ci chiese di esprimere la nostra opinione riguardo alle decisioni da assumere in merito al rapporto con Fini.
Tutti, senza alcuna eccezione, risposero a Berlusconi che la situazione non era più sopportabile per l’immagine del governo e del partito e non era più accettata dal nostro elettorato. La conclusione unanime era che si dovesse prendere atto della intervenuta incompatibilità tra la linea di Fini e quella della maggioranza del partito. Questa decisione fu poi assunta dall’ufficio di presidenza del Popolo della Libertà, praticamente all’unanimità con il solo voto contrario di tre esponenti poi confluiti nel gruppo di Futuro e Libertà.
Quale è quindi, in conclusione, la mia riflessione personale? La decisione di fondare il Popolo della Libertà non è stato un errore, anche se qualcuno pensa che si sarebbe dovuto procedere con maggiore gradualità, siglando con An un patto federativo.

Oggi il Popolo della Libertà è un traguardo irreversibile anche per la destra italiana, che in maggioranza si riconosce nel nuovo movimento. Un partito che raccoglie quasi il 40% dei consensi non può essere considerato morto, a costo di apparire ridicoli. La seconda riflessione: sì Berlusconi è un leader forte, in Italia e nel mondo, ma ciò che lo distingue da altri leader politici è proprio la sua propensione ad ascoltare tutti, a valutare ogni elemento utile, da chiunque proposto, prima di prendere una decisione e ad accettare le decisioni democraticamente assunte dagli organi del partito. Il paradosso è che un uomo che proviene non dalla politica militante bensì dal mondo imprenditoriale appare oggi l’unico esponente politico che agisce democraticamente, con professionalità, prudenza ed equilibrio. Berlusconi non ha avuto la fortuna di avere interlocutori attenti e dotati di saggezza politica, sia nel campo dell’opposizione che del centrodestra. Gli tocca proseguire il suo impegno nel mezzo di tante difficoltà, di continui ostacoli e di incredibili aggressioni giudiziarie.

È il prezzo che deve pagare alla scelta coraggiosa che ha fatto nel ’94 per salvare gli italiani dal pericolo di un regime comunista e di volerli rendere più liberi e più sicuri.
*Coordinatore Pdl e ministro dei Beni culturali

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