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Pentagono, il nuovo nemico è il clima

Che il cambiamento climatico sia ormai un argomento al centro dell'agenda politica di ogni Stato, lo ha dimostrato anche l'ultimo G8 dell'Aquila. E da oggi è al centro anche delle simulazioni del Pentagono, che ha deciso di prepararsi in prima persona alle sfide che il riscaldamento globale pone, con la convinzione che avrà effetti diretti sulla sicurezza di ampie zone del pianeta. Per questo il ministero della Difesa statunitense ha deciso di preparare delle simulazioni come quelle che durante la guerra fredda venivano usate per prepararsi contro un eventuale attacco sovietico.
Le preoccupazioni principali degli uomini del Pentagono sono le conseguenze che le variazioni climatiche potrebbero avere sulle infrastrutture militari degli Stati Uniti, poiché molte installazioni si trovano in zone vulnerabili da un punto di vista climatico, come in Florida (dove la base aerea di Homestead fu già quasi distrutta dall'uragano Andrew nel 1992) o nell'Oceano Indiano (dove c'è l'atollo di Diego Garcia, che serve da base per tutto il Medio Oriente sia per le truppe statunitensi che per quelle britanniche). Per non parlare dell'oceano Artico, naturale barriera di ghiaccio con la Russia, che ormai quasi non esiste più. Oltre ai problemi che potrebbero riguardare direttamente le truppe americane, poi, al Pentagono c'è anche preoccupazione per come delle crisi di origine ambientale potrebbero far crollare governi, alimentare movimenti terroristici e destabilizzare intere regioni, in particolare nell'Africa subsahariana, nel Medio Oriente e nel Sud-Est Asiatico.
Simulazioni recenti dell'intelligence hanno concluso che nel giro di 20-30 anni, queste regioni dovranno combattere contro carenza di cibo, acqua e alluvioni catastrofiche derivanti dai cambiamenti climatici e dall'innalzamento delle temperature. E la risposta non potrà essere solo di carattere umanitario, ma necessariamente anche militare, con le truppe addestrate a intervenire anche di fronte a uragani, siccità, migrazioni di massa e pandemie.
E se a febbraio il Pentagono inserirà una sezione «clima» nel suo piano quadriennale per le strategie di difesa, le esercitazioni sono già una realtà. La prima simulazione virtuale ha preso in ipotesi un uragano seguito da inondazioni nel Bangladesh: centinaia di migliaia di sfollati si riverserebbero sulla vicina India, innescando conflitti religiosi, diffondendo malattie contagiose, mettendo a dura prova le già deboli infrastrutture. «Diventerebbe tutto molto grave e molto in fretta», ha spiegato Amanda Dory, vicesegretario della Difesa per le strategie, che lavora in un gruppo incaricato dal Pentagono di inserire i cambiamenti climatici nella pianificazione sulla sicurezza nazionale.

Un gruppo che ha il suo padrino politico nel senatore John Kerry, che da anni spinge per prepararsi a gestire situazioni come quella del Sud del Sudan, «dovuta all'espandersi del deserto verso il nord».

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