Elezioni Amministrative 2008

Il Piacione non piace più: va al Senato

Il Campidoglio non gli interessava ma Veltroni lo ha convinto a candidarsi. Adesso incassa una sconfitta bruciante: "Per me è una grande amarezza". Quei 51mila elettori del Pd che lo hanno mollato

Chi lo conosce giura che il riposo di Rutelli non durerà molto. Presto, è la previsione, prenderà a cucinare il piatto della vendetta, da servir freddo come vuole la regola. Da imbandire alla tavola di Veltroni, ovviamente. In combutta con D'Alema, altrettanto ovviamente.

Lui, in verità, non voleva, non ci pensava minimamente. Avrebbe fatto quaranta giorni di cilicio, piuttosto che correre per la terza volta alla conquista del Campidoglio. E non perché temesse una figuraccia, anzi: sulla sua popolarità e la presa fascinosa sui romani il bel Francesco non ha mai dubitato. No, è che ha fatto tante cose nella vita, ma per la terza volta il sindaco gli suonava come un ritorno al passato, nemmeno un parcheggio in attesa dell'alba dopo la buia nottata del centrosinistra ma un surrogato di periferia politica. Veltroni però insisteva: non possiamo perdere Roma, tu sei l'unico che può farcela, anche se le politiche vanno male Roma è una passeggiata, sei il simbolo della continuità, i romani ti conoscono e ti amano, ce la farai al primo turno. L'altro resisteva, non gli andava per niente, pure gli amici e i più stretti collaboratori lo sconsigliavano: Francesco lascia perdere, i remake fanno sempre rimpiangere l'originale, e il modello Roma che tu avevi creato non c'è più, ora semmai c'è il modello Bettini, che non è un granché. Giorni di pensieri e ripensieri, Veltroni che non allentava il pressing, infine la resa. Lo sciagurato rispose, per dirla col Manzoni.

Ed eccolo dunque, nella giornata della nemesi, della sconfitta più bruciante della sua vita, dell'umiliazione, del calice di fiele... e del rancore trattenuto nei confronti di chi a tal disfatta lo ha indotto. Al Comitato elettorale di via Pacinotti all'Ostiense, ieri Rutelli s'è affacciato alle 11, evitando i giornalisti e chiudendosi nel suo ufficio senza pronunciare una parola. Poi se ne è andato, e nel primo pomeriggio è arrivata Patrizia Sentinelli, la sua candidata vice, che ha intrattenuto un poco i cronisti. Lente e inesorabili passavano le ore, a metà spoglio han portato la certezza che tutto era perduto. Alle 18 Rutelli è tornato, i suoi lo hanno accolto nel saloncino accennando un applauso di consolazione, li ha fermati con triste sorriso. Infine, con mestizia s'è presentato a giornalisti e telecamere, ammettendo: «Penso di aver fatto tutto il mio dovere. Nella mia vita pubblica ho avuto molti successi e soddisfazioni, oggi è una sconfitta e un'amarezza grande». Però subito precisando, a futura e presente memoria: «Mi sono messo a disposizione della coalizione e di Roma. Sapevamo che c'erano molte difficoltà da superare, e ringrazio gli elettori che mi hanno votato, ringrazio le militanti, i militanti e i cittadini che hanno generosamente condotto questa campagna al mio fianco». Ha lamentato «strumentalizzazioni anche pesanti», ma con elementi autocritici che sollecitano a «riflettere bene sui limiti del centrosinistra circa il tema della sicurezza». La conclusione risuona spietata e crudele, è una lama affondata nella piaga che non è soltanto sua ma dell'intero Partito democratico diretto da Veltroni: «Analizzeremo i dati per sapere chi sono quei centomila elettori di centrosinistra che si sono astenuti dal ballottaggio e quelli che hanno votato Zingaretti alla Provincia e Alemanno al Comune». Bettini era lì, alle sue spalle, senza batter ciglio.

Non è la prima volta che perde, Rutelli, però mai in modo così disastroso, da annichilire anche il più robusto degli animali politici. Già nel 2001, quando lo mandarono a salvare l'insalvabile dopo i governi di Massimo D'Alema e Giuliano Amato, Rutelli perse. Ma con onore, e contenendo le perdite dell'Ulivo. Stavolta è la campagna di Russia, peggio è Waterloo. Partito favorito e vincente, gli è caduta fra capo e collo la mazzata d'avvertimento, al primo turno. È quel dato, più pesante del rinvio al ballottaggio che risuonava infausto: Rutelli aveva preso meno voti dei partiti che lo sostenevano, l'un per cento in meno, mentre i candidati ai municipi di periferia, quasi tutti di origine Pci/Pds/Ds, avevano cinque punti percentuali più di lui; e nella corsa alla Provincia il fratello del televisivo commissario Montalbano, ex segretario della federazione romana Ds, andava tranquillo e sicuro. Inutile ogni soccorso, pure il giro romano di D'Alema s'è rivelato vano. Del resto, anche Massimo non è riuscito a salvare il suo, di candidato sindaco, nonostante la processione del Venerdì santo e l'aiutino dell'Udc casiniana: a Gallipoli, ieri è stato eletto il sindaco del Pdl.

Bene, anzi male, avremo il senator Rutelli. Un ruolo che gli mancava, pur essendo parlamentare dal 1983, prima come radicale, poi verde, quindi democratico, indi primo petalo della Margherita, infine Pd. Se davvero andasse in pensione, quella vera, prenderebbe un sacco di soldi senza dover più muovere un passo o dire una parola. Ma non è nella sua natura e l'età non lo consiglia (compirà 54 anni a giugno), ritirarsi a vita privata. Ha fatto anche l'eurodeputato nel frattempo, un passaggio nel cimitero degli elefanti di Palazzo Madama non gli guasterà il curriculum. Oh, ha fatto di tutto e di più Rutelli, anche se i maligni dicono che il vero uomo di potere è la moglie, Barbara Palombelli che pur deve prendersi cura dei quattro figli. Ma Francesco è stato leader di tre o quattro partiti, ha fatto il ministro già nel secolo scorso, nel governo Ciampi anche se per un solo giorno. E poi i Beni culturali, i vicepremierati, il Campidoglio per due mandati dal '93, il Giubileo e Giovanni Paolo II che lo benediceva scompigliandogli i capelli, da Pannella a Cristo, che si vuole di più? Ha pure la fontana dell'Esedra, gli originali di quei gruppi marmorei li ha scolpiti il nonno.

Dunque pausa adesso: se non ritiro, almeno mezza pensione.
Ed ora che ne sarà di Francesco Rutelli, er piacione? Si ritirerà a mezza pensione al Senato, accettando l'ufficiolo di vicepresidente in quota opposizione, oppure muoverà le sue truppe (poche ormai e pure stanche) per far guerra all'«amico» Walter Veltroni, responsabile primo e principale della sua disfatta?

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