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Il piano di Casini: fare il Prodi del nuovo centrosinistra

Il piano di Casini: fare il Prodi del nuovo centrosinistra

Casini ha annunciato la prossima nascita, a fine d’anno, di un nuovo partito. Sarà una formazione di centro che si chiamerà, sembra, «partito della Nazione» e che si terrà equidistante dal Pd e dal Pdl. Dal punto di vista della geografia parlamentare cambierà poco. Cinque partiti sono sopravvissuti al Grande Cambio del 2008 e cinque resteranno dopo la metamorfosi dell’Udc. L’ambizione dichiarata di Casini è però un’altra. L’ex presidente della Camera è convinto di poter dar vita a un nuovo centro, cioè a una forza politica in grado di spezzare il bipartitismo imperfetto e di dettare le regole ai due partiti maggiori. Il sogno ricorrente degli ex Dc, penso a De Mita oggi con Casini, è quello di riformare un partito che ne ripercorra i fasti. Solo che è un sogno privo di relazione con la realtà e anche con il passato. Lo sanno anche loro.
La Dc non era il Grande Centro, era di più, era il principale caposaldo dello schieramento di governo che si contrapponeva al polo guidato dal Partito comunista. Il ruolo centrale della Dc non consisteva nel suo porsi nel mezzo dello scontro politico ma nell’interpretare, in modo a tratti duro, le ragioni di una parte sola cercando di sottrarre al Pci consensi e alleati. La teoria andreottiana dei «due forni» si affaccia negli anni della crisi della Dc quando il sistema politico mostra i segni dello sfinimento. Non a caso il sistema politico che nasce subito dopo e che, con alterne vicende, dura tuttora ha riproposto un nuovo bipolarismo fra centrodestra e centrosinistra annullando ancora una volta l’idea di un centro autonomo che possa dettare le regole della politica. Non ha futuro l’idea di una forza politica centrale che si metta a contrattare, magari dopo le elezioni, con l’una o l’altra parte il proprio consenso. Non lo consente la legge elettorale, non lo consente la volontà degli italiani che nell’ultima prova politica hanno affidato oltre il 70% dei consensi a due soli partiti, premiando con la vittoria il Pdl.
Se le cose stanno così bisogna allora interrogarsi su quali sono gli obiettivi differiti e non dichiarati di Casini e dell’Udc. È chiaro che c’è uno sforzo di elaborare una nuova strategia dopo «lo schiaffo del 2008». Ricorderete che Casini fu spiazzato dal «discorso del predellino» di Berlusconi e che rifiutò l’unificazione con Forza Italia e Alleanza Nazionale. L’Udc, negli ultimi anni, ha tenuto costantemente a smarcare la propria posizione da quella degli alleati. Il bisogno di identità e di protagonismo non aveva fatto i conti con la determinazione del Cavaliere che dopo il no di Casini gli ha chiuso le porte dell’alleanza di governo. L’Udc si trovò d’un colpo sospinta all’opposizione e a una opposizione di lungo periodo.
Il profilo politico dell’Udc nella nuova veste di oppositore dei suoi antichi alleati si è incentrata su tre motivi di fondo. Il primo è quello etico. Mentre nella Pdl e nel Pd c’è dibattito su questi temi, l’Udc ambisce a presentarsi come il vero partito del Papa, fino ad attirare nelle sue file il neo-convertito Magdi Cristiano Allam. Il secondo è l’antiberlusconismo irridente. Mentre a sinistra cresce con Di Pietro e con Franceschini il vecchio anti-berlusconismo, con Casini si affaccia l’antiberlusconismo che invita a non prendere sul serio il premier. È il peccato di arroganza degli ex Dc come De Mita che pensano a Berlusconi come a un usurpatore. Il terzo motivo è l’anti-sindacalismo, cioè la contrapposizione a qualunque richiesta venga dal mondo del lavoro a dominanza Cgil anche per l’influenza che sull’Udc esercita il sindacalismo cislino rappresentato da Savino Pezzotta.
Questi tre motivi identitari danno un’altra fisionomia al nuovo grande centro a cui pensa Casini. La propaganda di partito dice che si tratta di una forza politica equidistante, in verità Casini si prepara a un’altra operazione. I tre motivi che abbiamo citato costituiscono non a caso i tre motivi di maggiore sofferenza nel Pd. Il partito di Franceschini non riesce a riassorbire la diaspora cattolica, sia quella dei tradizionali teodem sia quella di Francesco Rutelli. Le prove di dialogo sui temi etici fra D’Alema e Fini irritano non solo i cattolici del Pdl ma soprattutto i cattolici del Pd. Sull’antiberlusconismo irridente da tempo si è collocato Francesco Rutelli. La critica alla Cgil e al segretario Franceschini che ne appoggia le manifestazioni sono state un coro, da Marini a Fioroni al lettiano Francesco Boccia. C’è, quindi, tutto un mondo Pd che sta guardando con attenzione alla svolta di Casini. È un mondo che è pronto alla marcia solitaria verso il partito centrista, come ha fatto il deputato del Pd Mantini, ovvero pensa ad una fusione fra una componente cattolica del Pd e l’intera Udc. Il senso di questo processo non sarebbe quello di dar vita a una formazione di centro, ma al centro del centro-sinistra, considerando inevitabile che ciò che resterà del Pd dopo le Europee sia destinato a un approdo socialdemocratico. È per questo obiettivo che Casini lavora ed è per questo che non si candida a guidare il nuovo partito.

Lascia lo scettro a un altro e per sé ritaglia il ruolo di leader della coalizione che fu di Romano Prodi.

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