In piazza per difendere lavoro, Patria e libertà

Federico Guiglia

Contrordine, manifestanti: c’è un equivoco all’origine della vostra protesta di domani, e pazienza. Ormai è impossibile da chiarire. Ma contrariamente a quanto si creda e si dichiari, non è il centrodestra, ma è il centrosinistra ad aver «promosso» la vostra mobilitazione di Roma. In sei mesi di tempo, appena, la coalizione di Romano Prodi ha fatto di tutto per spingere una quantità probabilmente mai vista di così tanti italiani a protestare, domani, in piazza. È l’incredibile serie di errori politici e di atti legislativi finora compiuti dalla maggioranza politica - errori e atti invisi alla «maggioranza» dei cittadini - ad aver motivato una marcia altrimenti impensabile: in genere è difficile poter giudicare l’attività di un governo in fondo insediatosi da poco. Ma che ha fatto di tutto per farsi giudicare subito, e nel modo più severo possibile. E la Finanziaria, l’evento più importante della legislatura, ne rappresenta l’esempio più lampante perché tocca le sensibilità (e il portafoglio) delle categorie, e dunque ciascuno può «giudicare» da sé.
Certo, domani sarebbe stato un po’ più difficile veder marciare quest’altra metà dell’Italia, se essa non fosse stata esclusa da tutti i più alti livelli di rappresentanza istituzionale; pur essendo, povera lei, la metà aritmetica (e forse più) del popolo italiano. Certo, domani sarebbe stato un po’ più arduo assistere alla protesta, se la manovra economica in pieno e a volte persino comico corso avesse accontentato almeno una metà dell’Italia. Invece a forza di ragionare di tasse, anziché di tagli o di incentivi alla produzione, si era persino arrivati a immaginare una «tassa sul turista». Roba da ridere e da piangere per un Paese tra i più visitati del mondo, e che giustamente aspira a riprendersi il primato a lungo detenuto.
Certo, domani sarebbe stato un po’ più complicato veder sfilare gli oppositori, se nell’immaginario del ceto medio, che costituisce l’identità economica dell’Italia - dettaglio probabilmente insignificante per i «senza se e senza ma» - non fossero rimasti alcuni gesti e manifesti: il vergognoso insulto ai caduti di Nassirya da parte dell’estremismo extra-parlamentare in corteo, in recente e indimenticato corteo, per esempio. Oppure il compiaciuto annuncio «Anche i ricchi piangano» da parte del radicalismo parlamentare, alcune settimane fa: ma se n’è parlato per settimane. Oppure, ancora, il fresco raddoppio da 20 a 40 spinelli come modica quantità per drogarsi senza tanti perché. Sono vicende molto diverse e non collegate tra loro, naturalmente, ma che offrono ciascuna per conto suo uno spunto irresistibile per l’incavolatura del tranquillo borghese della porta accanto. Quel borghese per il quale la patria merita amore e non disprezzo, e il lavoro l’impegno di altro lavoro, e i principi di libertà qualcosa di più consistente di una vampata di fumo, che sempre annebbia.
È come se la maggioranza politica avesse passato gran parte del suo pur breve periodo al governo non già a dire, ma a contraddire, non a fare ma a disfare ciò che gli odiati predecessori avevano compiuto. E a contraddire e a disfare col puntiglio della maestrina - che peraltro non esiste più neanche a scuola - bocciando il lavoro altrui col vanto di chi arriva e proclama: adesso ti faccio vedere io come si governa l’Italia. Salvo poi pendere sempre dalla parte del radicalismo, anziché da quella della ragionevolezza. Rifiutando, inoltre, qualunque «ragionevole» compromesso in Parlamento. Anzi, usando il voto di fiducia come corollario dell’«adesso ti faccio vedere io». Gli italiani hanno visto, questo è sicuro. E per ciò sembrano così determinati, e in così tanti, a «scendere in piazza». In nome di Berlusconi e dei suoi alleati, ma per merito di Prodi e dei suoi.
f.

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