Controcultura

Piccole bellezze dei maestri di fotografia

A partire dagli anni Novanta, con l'avvento delle macchinette digitali, e poi nell'ultimo decennio quando sono stati inventati gli smartphone, il linguaggio della fotografia è radicalmente cambiato. Quello che un tempo era uno stile raro, specialistico e difficile, con tempi di posa lunghi e artefatti, si è trasformato in qualcosa di disponibile per tutti. Con l'estetica dell'istantanea, che in inglese si definisce «snapshot», chiunque può aspirare a diventare o essere un fotografo: non ci sono leggi né regole, tranne quello di essere il più vicino possibile alla realtà in presa diretta. Inoltre le attrezzature costano sempre di meno e non c'è nemmeno più bisogno di procedere alla stampa perché il web, attraverso il meccanismo della condivisione, permette la diffusione planetaria delle immagini.

In tale processo di democratizzazione dell'arte ultimo ritrovato, in tal senso, il selfie - tutti si sentono fotografi. Logico dunque che i talent televisivi siano arrivati anche qui, poiché tra le diverse forme creative la fotografia risulta quella più prossima a catturare l'attenzione di un pubblico sempre più vasto, soprattutto nelle nuove generazioni.

È nato così su Sky Arte il programma Master of Photography, in onda il giovedì per 8 settimane e condotto da una fin troppo blasé Isabella Rossellini. La formula non si discosta poi troppo dagli altri talent: 12 concorrenti, tendenzialmente giovani e provenienti da più parti del mondo, si sfidano su temi specifici. I giudici, competenti e inflessibili, sono tre esperti del settore: Oliviero Toscani, Simon Frederick e Ruth Blees Luxembourg. A loro va aggiunta una star della fotografia mondiale, nella prima puntata Alex Webb, più avanti sarà il turno di David La Chapelle, che funge da tutor per i ragazzi con i suoi preziosi consigli. Nella gara che prevede l'eliminazione di un concorrente alla volta, il vincitore guadagnerà ben 150mila euro.

Davvero ostico il tema del primo appuntamento: «Roma, la grande bellezza», ma dopo l'omonimo film di Sorrentino resta davvero poco da aggiungere. Sei ore di tempo per scattare in una zona compresa tra il Colosseo e piazza del Popolo, quindi postprodurre e stampare il risultato, tra ritratti, paesaggi, vedute, soluzioni più concettuali che vanno dalla Street Photography all'istantanea, dal reportage al ritratto.

«Niente cartoline», raccomanda Toscani. Eppure il risultato di questa prima sessione delude sia i giurati sia noi pubblico. Gli aspiranti master risultano addirittura bloccati, poco precisi, come schiacciati dal compito. La grandezza di Roma li ha resi piccoli, la loro estetica non si discosta troppo da Instagram (dove si trova davvero di meglio) e il ricorso al bianconero, decisamente più facile del colore, scivola nel più trito accademismo. Undici di loro si ritroveranno tra una settimana a Berlino, dove certo l'impatto con la nuova metropoli darà stimoli diversi.

Per il momento non si vede però emergere un gran talento, colpa forse del fatto che la fotografia è diventata un'arma talmente comune da non «spaventare» più nessuno.

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