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Pisa, caos alla Normale: silurato il direttore. E l’ex allievo Mussi tace

Franchi tiratori contro la rielezione di Salvatore Settis: allora me ne vado. Polemica sulla sua gestione dei fondi "troppo manageriale"

Pisa, caos alla Normale: silurato il direttore. E l’ex allievo Mussi tace

Milano - Qualche nuvola l’aveva vista sul suo ufficio, ma un fulmine così proprio non se l’aspettava. E invece quattro franchi tiratori hanno colpito Salvatore Settis a un passo dalla rielezione a direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa e inducendolo a «dimissioni irrevocabili», sebbene il mandato ricevuto nel 2003 scadesse a ottobre. Un fulmine che lascia senza guida la più prestigiosa istituzione universitaria italiana.
Storico dell’arte di fama internazionale, Settis è in grado di farsi ascoltare oltre i confini dell’accademia. Parla al grande pubblico, conduce battaglie per la difesa del patrimonio culturale (Rutelli l’ha nominato presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali) e polemizza con le istituzioni di ogni colore politico. Ultimo bersaglio il ministro dell’Università Fabio Mussi, tra l’altro un ex allievo della Normale. «Sul fronte della ricerca notizie mediocri da Roma...», scriveva Settis sulla Repubblica del 12 gennaio, aprendo un botta-e-risposta senza sconti. Ironia della sorte: proprio a Mussi, giovedì, ha dovuto indirizzare la sua lettera di dimissioni.
Settis è diventato direttore della Normale otto anni fa. L’ha trasformata radicalmente, svecchiandola e aprendola a rapporti di partnership con i privati. Una «gestione manageriale» che ha garantito più visibilità e fondi per la ricerca, ma ha anche creato qualche malumore tra i professori più tradizionalisti, custodi del primato della ricerca pura e dell’eccezionalismo della Normale.
Quando il suo regno sembrava avviato a conclusione, una riforma dello Statuto ha riaperto i giochi. Un anno fa la norma che vietava il terzo mandato è stata modificata: il direttore può essere confermato con una maggioranza qualificata.
La novità ha suscitato le perplessità del ministero, degli studenti e di alcuni docenti. Settis, per fugare il sospetto di aver confezionato (o almeno avallato) una norma ad personam, ha dichiarato di non volersene avvalere. Ma una lettera di una ventina di professori gli ha fatto cambiare idea. E così si è presentato al Consiglio di giovedì con due certezze. La prima: che il prestigio personale e i successi della sua gestione gli avrebbero garantito la rielezione. La seconda: che non sarebbe stato un plebiscito, perché la scelta di ricandidarsi non era stata del tutto digerita.
E invece qualcosa è andato storto. Nel Consiglio (58 componenti tra cui tutti i professori, 6 ricercatori, 4 studenti e 4 dipendenti amministrativi), si sono coagulate tutti i motivi di malcontento. Gli studenti gli rimproverano di non aver discusso con loro il programma per il terzo mandato. I professori della classe scientifica contestano la rottura del principio dell’alternanza al vertice (Settis è un esponente dell’altra classe, quella di lettere e filosofia). I ricercatori di matematica lamentano l’esiguità di contributi ricevuti a fronte di quelli copiosi che finiscono ad altre aree, per esempio fisica. E infine tanti non vedono di buon occhio il vicedirettore nominato da Settis due anni fa, Fabio Beltram. Giovane (nell’università italiana lo si è a 47 anni), poco diplomatico, per niente tradizionalista e molto «efficientista» nella gestione del bilancio. E soprattutto «non normalista». Insomma: un alieno. Settis non lo ha sconfessato fino all’ultimo e nella riunione di giovedì ha insistito sulla necessità di «ringiovanire il corpo docente». Alienandosi altri consensi.
Risultato: 35 voti a favore, quattro meno del quorum necessario. Elezione fallita e «dimissioni irrevocabili».
E mentre parte la caccia ai franchi tiratori, si studiano le prossime mosse. Gli avversari di Settis devono trovare un candidato alternativo. I suoi seguaci proveranno a bruciarlo per poi convincere Settis a ricandidarsi. Qualcuno sperava che ci provasse anche Mussi: il ministro non ha poteri d’intervento, ma almeno una dichiarazione, anche solo un attestato di stima per il direttore dimissionario...
Invece nessun commento. E il silenzio di un «normalista» fa ancor più rumore.
giuseppe.

salvaggiulo@ilgiornale.it

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