Politica

Pizzino di Fini a Veltroni: «Fare pace? Fare finta!»

RomaIncontri annunciati e poi annullati. Colombe, vere o presunte, che volano ormai appesantite, in attesa o nella speranza che i due contendenti se la sbrighino da soli, senza più intermediari di mezzo. E un pizzino. O meglio, un bigliettino, che rischia di sembrare malizioso. Ma è davvero un giallo politico o una semplice bufala? Fatto sta che l’autore è Gianfranco Fini, il destinatario (pare) Walter Veltroni. Già, proprio lui. Ecco il testo: «Fare pace? Fare finta!».
Ma a cosa si riferisce il presidente della Camera, nel mini-documento intercettato dai cronisti, lasciato sul tavolo dei relatori di un convegno a Montecitorio? All’infinita querelle con il Cavaliere? Forse no, stando magari alle parole dell’ex segretario Pd (con cui Fini parlotta più volte però, durante l’appuntamento, organizzato alla Sala della Lupa, per presentare un libro sulla Comunità di Sant’Egidio), stupito per tanto clamore: «Eravamo solo allo stesso convegno, non c’è stato alcuno scambio di messaggi». Concetto che chiarisce pure Fabrizio Alfano, portavoce della terza carica dello Stato: «Con buona pace di tutti i dietrologi, il quesito “fare pace? Fare finta!” si richiamava ad un riferimento storico illustrato da Giuliano Amato, che in quel momento stava intervenendo, sul ruolo della comunità di sant’Egidio nel difficile conflitto tra Serbia e Kosovo».
E vabbè. Torniamo allora a bomba. E partiamo dalla tarda mattinata, quando lo stesso Alfano spiega: «Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non ha in programma né per oggi (ieri per chi legge, ndr), né per i prossimi giorni, incontri con esponenti del Pdl». Quindi, né Denis Verdini, né suoi colleghi, sono attesi al piano nobile di Montecitorio. Un chiarimento utile, dopo l’annuncio di quel «mandato» affidato martedì sera dal premier al coordinatore che meno si sarebbe esposto nella contesa. Ma soprattutto necessario, alla luce dell’irritazione dell’ex leader di An - trapelata già a caldo - per le modalità con cui si è abbozzato il contatto.
«Ma Verdini l’ha già incontrato decine di volte, che motivo c’era di mettere su quella pantomima con delega e doppio mandato?», si chiedono infatti gli uomini più vicini a Fini. Senza contare, poi, quella ricostruzione fatta circolare da «qualcuno che rema contro e che non vuole la riconciliazione». Una velina che a Fini sarebbe suonata come «provocazione», visto che «prima mi chiedono di incontrare Verdini, poi fanno trapelare che sarei stato io a promuovere il colloquio». Insomma, di nuovo bocce ferme, in attesa di condizioni migliori. La richiesta preliminare è sempre la stessa: «Serve rispetto» per il ruolo e per le posizioni di Fini. Il diretto interessato ne parla solo nei colloqui privati: «Fino a quando non ci saranno risposte politiche ai problemi che ho sollevato, è prematuro fare incontri, soprattutto con intermediari». D’altronde, sottolinea il cofondatore del Pdl, «nel corso della direzione nazionale ho sollevato problemi politici, come la lotta alla corruzione e i costi del federalismo, che oggi si sono rivelati più pressanti e reali. Attendo ancora delle risposte politiche». Serve dunque una «operazione di verità» - per dirla con il fedelissimo Carmelo Briguglio - se si vuole ridurre la distanza tra le due parti. E in ogni caso, sottolinea Fini, «tutte le questioni degli organigrammi possono stare a cuore a chi ne fa parte, non certo a me».
La sensazione, al momento, è che la palla sia ora in mano solo ai due leader. «Auspico che Berlusconi e Fini si parlino da soli, senza ambasciatori», commenta il sottosegretario e finiano Roberto Menia, dopo l’incontro avuto ieri con il Cavaliere. Un punto, quello del faccia a faccia, su cui Maurizio Gasparri la mette giù così: «Avverrà quando lo riterranno opportuno, anche se, per ora, registro che il mondo va avanti lo stesso». Afferma invece Ignazio La Russa: «Ho sempre auspicato concordia e serenità, speriamo che possa succedere».
Intanto, Fini torna ad occuparsi di cittadinanza, su input dell’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio: «Bene lo “ius soli” per i bambini nati in Italia da immigrati, ma non sia automatico».

Ovvero, valga per quelli «nati e cresciuti nel nostro Paese, che vi risiedano in modo stabile».

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