Controcultura

Polanski insegue l'identità di una scrittrice in crisi

«D'après une histoire vraie» è un sottile thriller psicologico (dal romanzo di Delphine de Vigan) su un tema a lui caro

Polanski insegue l'identità di una scrittrice in crisi

Stenio Solinas

da Cannes

Delphine è stanca. Il suo ultimo romanzo l'ha svuotata, anche fisicamente, il tour per promuoverlo si annuncia massacrante. Troppe copie da firmare, interviste da dare, inviti da saloni del libro, circoli letterari, scuole, a cui l'ufficio stampa della sua casa editrice non sa dire di no. È sulla cresta dell'onda, le è già accaduto, ma questa volta è un po' diverso. Ha immaginato, raccontandolo in prima persona, il suicidio di una madre, ma ai lettori piace pensare sia una storia vera e così c'è chi si identifica e/o solidarizza con lei, chi polemizza: ha sfruttato un dramma intimo, l'ha trasformato in un affare di cassetta... I lettori sono gente strana, proiettano sui romanzieri i loro bisogni, ne fanno, se si vuole, personaggi di un romanzo, il loro. E invece a Delphine occorrerebbe qualcuno con cui parlare, a cui raccontare le proprie ansie. Per esempio, quella da «pagina bianca», la paura di non riuscire più a scrivere. Oppure, il senso di vuoto che la opprime. I figli adolescenti ormai fuori di casa, un compagno troppo preso dal suo lavoro per poterci vivere insieme. Si sente sola, vorrebbe qualcuno che la ascoltasse.

Durante il tour promozionale, Delphine incontra Elle, uno strano nome, Lei, una ragazza strana. Conosce i suoi romanzi, la ammira come scrittrice, è premurosa, è intelligente, è attenta. Anche Elle scrive: fa la ghost writer, racconta le vite degli altri, sembra non avere una vita propria. Con lei, con Elle, Delphine si sente protetta, e si lascia andare. Forse troppo, perché Elle si crede sempre più autorizzata a mettersi al suo posto: non vuole che scriva un altro romanzo, ma un'autobiografia, dove mettere su carta il lato più segreto della sua esistenza, quello finora tenacemente tenuto nascosto. Deve scrivere la verità su se stessa, insiste. Ma è la verità di Delphine che vuole, o la sua, quella di Elle, quella di lei?

D'après une histoire vraie, Basato su un fatto vero, il film in chiusura, fuori concorso al Festival, di Roman Polanski, ha alcuni temi tipici di questo regista ottantatreenne ma per il quale il tempo sembra non passare mai. «Dall'Inquilino del terzo piano a Ghost writer, mi è sempre piaciuto indagare sulle identità, gli scambi di ruoli, le autobiografie vere e quelle costruite ad hoc. Il romanzo omonimo di Delphine de Vigan, da cui ho tratto il film, mi ha attratto proprio perché mi permetteva di tornarci su. In più c'era questo elemento nuovo di un incontro-scontro fra donne, una lotta di reciproca manipolazione e dominio, un thriller psicologico tutto al femminile raro a trovarsi».

Interpretato da Emmanuelle Seigner (Delphine) e Eva Green (Elle), D'après une historie vraie è però anche una riflessione più ampia sul rapporto fra realtà e finzione. «Oggi c'è una vera e propria ossessione della realtà. Ho l'impressione che l'eccesso di informazione abbia come risultato il suo opposto. Si finisce con il credere a tutto e quindi a nulla, di non riuscire a sapere mai la verità». Il suo corollario è quello che Delphine de Vigan, l'autrice del romanzo, definisce «l'aspetto voyeuristico del lettore. Lo spiare dietro la fiction la vera vita di chi scrive. L'editoria ha scoperto che commercialmente le storie vere hanno sempre più pubblico. Si crede cioè che il reale sia più interessante di una storia inventata».

Il film gioca con molta sottigliezza e con un crescendo di tensione su questa ambivalenza, del resto incarnata dagli stessi personaggi messi in scena. Dice ancora Polanski: «Elle esiste o esiste solo nella fantasia di Delphine, l'alter ego che le permette di scrivere una nuova storia? È una scelta che sta allo spettatore, così come al lettore del libro. Io sono dell'idea che l'adattamento cinematografico di un romanzo non debba allontanarsi troppo dall'originale. Mi ha sempre infastidito lo stravolgimento». È la quarta volta che Polanski dirige Emmanuelle Seigner, sua moglie. «È più difficile essere suo marito che il suo regista», ironizza. Sulla polemica relativa al futuro delle sale cinematografiche minacciate dal piccolo schermo, ha una sua teoria: «L'andare al cinema, in sala, fa parte della natura umana, nasce dall'esigenza dello stare insieme. È il teatro greco dei nostri giorni.

Vuole dire condivisione».

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