Cultura e Spettacoli

Polanski: il mio thriller sotto il Vesuvio in eruzione

Il regista racconta a Giffoni il suo film dedicato a Pompei

Polanski: il mio thriller sotto il Vesuvio in eruzione

da Giffoni (Salerno)

Signor Polanski, pensa che un giorno potrà tornare finalmente negli Stati Uniti, visto che una condanna (per violenza) glielo impedisce da più di trent'anni?
«Questa domanda mi perseguita. Ma è un argomento che non voglio affrontare, mi scusi».
Si vede che Polanski ha finalmente fatto pace con i giornalisti. Perché stavolta al festival per ragazzi di Giffoni Valle piana non si alza e se ne va come ha fatto in passato anche a Cannes. E' solo leggermente e comprensibilmente contrariato. Ma resta al suo posto per raccontare, lontano dalla folla del festival, il suo prossimo, ambizioso progetto: Pompei, tratto dal best seller di Robert Harris e ambientato nel 79 avanti cristo, o meglio nei quattro anni che precedettero l'eruzione del Vesuvio. Il grande regista d'origine polacca è tipo bizzoso ma non troppo. Jeans di marca, camicia bianca, nei saloni di Villa Rizzo annuncia che il primo ciak di Pompei verrà battuto nel marzo del 2008. Lo fa in inglese perché spiega, «il mio italiano è limitato allo scambio di battute con i camerieri di ristorante per ordinare il menu».
Cosa le è piaciuto del romanzo di Harris?
«L'ambientazione in un'altra epoca e l'atmosfera da thriller. Nel film cambierò solo il protagonista della vicenda che non sarà Plinius ma Attilius. Sullo sfondo c'è poi una romantica storia d'amore. E' un progetto che mi esalta ma è difficile da allestire. Una coproduzione europea indipendente, come i miei ultimi film».
Dove girerà Pompei?
«Ancora devo deciderlo. Ho fatto dei sopralluoghi nella zona di Pompei, ho sorvolato il Vesuvio ma è certo che la città verrà ricostruita negli studi di posa e al computer. Perché il vulcano era molto più alto di adesso e con un solo cratere, non due come oggi».
Ha già scelto il cast? Si parla di Scarlett Johansson e Orlando Bloom.
«Ho letto anch'io sui giornali questi due nomi. Ma prima di farli nessuno li ha chiesti a me, che sono il diretto interessato. Stiamo terminando solo ora la sceneggiatura. Tra qualche settimana comincerò i primi colloqui per la scelta dei protagonisti».
Si ritaglierà un ruolo come fa spesso nei suoi film?
«Stavolta no. Anche se mi piace recitare e altri colleghi me lo propongono di frequente, preferisco dirigere o accettare dei piccoli ruoli. L'ultimo mio vero film da attore è stato Una pura formalità, di Giuseppe Tornatore: un set nel quale mi sono divertito tantissimo. Mi domando solo dove sia finito il cinema italiano. Un tempo aspettavamo con ansia i film di Fellini, De Sica, Visconti».
Lei ha avuto una vita complicata. Sua madre morta in un campo di concentramento, suo padre ritrovato anni dopo esser stato adottato. E poi la scomparsa di sua moglie, Sharon Tate, uccisa dalla banda di Charles Manson, le sue esperienze cinematografiche, capolavori inclusi. Non le piacerebbe raccontarla, questa vita, in un film?
«Non penso sia così interessante. Almeno non per me. Perché, ad esempio, non ho mai affrontato la storia del ghetto di Cracovia? Lo troverei psicologicamente complicato. Conosco ancora tante persone che vivono lì e che hanno avuto l'esistenza distrutta dalle deportazioni naziste. Meglio allora raccontare la storia del pianista del ghetto di Varsavia».
Ma la rivivrebbe tutta questa vita a tinte forti?
«Se me l'avesse chiesto una ventina d'anni fa le avrei risposto di no. Oggi che sono più in pace con me stesso le dico che forse non la rivivrei attimo per attimo ma complessivamente sono contento di come mi siano andate le cose».
Ha fatto davvero pace con i giornalisti, da lei considerati persone che fanno solo domande stupide?
«Bisogna vedere se i giornalisti hanno fatto pace con me».
Domanda stupida: ha settantaquattro anni ma ne dimostra venti di meno. Come fa?
«E' una questione di testa: la faccio lavorare tantissimo, la tengo in allenamento. E comunque ho sempre dimostrato molto meno della mia età. Da ragazzo la cosa non mi piaceva affatto, ora ne sono felice, naturalmente».
Cosa la preoccupa del mondo d'oggi?
«Il fondamentalismo religioso. Faccio fatica, ad esempio, a spiegare ai miei figli il perché dei controlli ossessivi negli aeroporti di tutto il mondo. Se avessi pronosticato 25 anni fa una cosa del genere mi avrebbero preso per matto. E invece in un pianeta in cui i confini politici stanno scomparendo e non devo più firmare i visti sul passaporto polacco, che consideravo l'incubo della mia vita, stiamo di nuovo alzando le barriere»
E della Polonia dei gemelli kasczinsky cosa ne dice?
«Mi fa pensare ad un'operetta.

Di serie B».

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