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Poletti, ministro dell'ottimismo che dà i numeri (sbagliati)

Pensioni, precari e occupati: perfino il presidente dell'Istat lo accusa di giocare con le statistiche. Lui tira dritto e celebra i flop del governo

Poletti, ministro dell'ottimismo che dà i numeri (sbagliati)

Nel bestiario renziano ci sono i gufi, gli sciacalli e gli avvoltoi. Le metafore animali del premier racchiudono l'ampia sfera dei suoi avversari politici: quelli che sperano gli vada male (i gufi) e quelli che sperano di approfittare dei suoi eventuali passi falsi (gli sciacalli e gli avvoltoi, appunto). Pochi, invece, hanno notato le farfalle, sciami multicolori che rendono (consapevolmente o inconsapevolmente) variopinta una realtà che altrimenti si presenterebbe tristemente in bianco e nero. Alla schiera di questi allegri lepidotteri appartiene sicuramente il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Tra le sue prerogative, spesso, figura pure quella di infondere ottimismo sull'andamento dell'occupazione. Un battito d'ali di farfalla tra i segni meno.

Lo scorso 31 luglio l'Istat ha infatti evidenziato una performance poco lusinghiera del tasso di disoccupazione a giugno, salito al 12,7% (12,5% a maggio, 12,4% a giugno 2014) con la perdita di 22mila posti di lavoro e un aumento di 55mila unità dei disoccupati, determinato anche dal maggior numero di persone in cerca di lavoro. Poletti con leggiadria ha immediatamente cercato di rasserenare gli animi. «Tutti gli osservatori concordano nel prevedere che alla fine del 2015 avremo tra 100 e 150mila nuovi posti di lavoro. E vorrei sottolineare che si tratterà anche di lavoro di qualità più alta», ha dichiarato. Le cifre non sono mai un dramma perché dal premier Matteo Renzi il ministro ha quasi subito imparato l'arte di tranquillizzare, spingendo più in là gli obiettivi. Se i gufi danno i numerini da menagrami, le farfalle danno i «numeroni» che come l'ottimismo, diceva Tonino Guerra, sono il profumo della vita. Sono passati poco più di quattro mesi e mezzo da quando Poletti affermava che i 2 miliardi di sgravi contributivi per le nuove assunzioni «potrebbero portare fino a un milione di posti di lavoro, che è un numerone ma i primi sintomi ci sono». Se l'avesse detto Silvio Berlusconi, lo avrebbero crocifisso in sala mensa come Fantozzi, ma questo è un altro discorso.

Questo empireo disegnato dal governo Renzi viene di tanto in tanto squassato dal principio di realtà sottoforma di dati Istat. Ma Poletti non si arrende dinanzi a simili incidenti di percorso. Anzi, proprio il 31 luglio aveva anticipato alla stampa i numeri che una decina di giorni dopo sarebbero stati resi noti dall'Osservatorio sul precariato dell'Inps (638mila nuovi posti di lavoro nel primo semestre e +36% di assunzioni a tempo indeterminato). Affermazioni che hanno fatto imbestialire il presidente dell'Istat, Giorgio Alleva. «Da mesi assistiamo a un caos desolante dei dati sul mercato del lavoro, che indebolisce l'istituto e disorienta i cittadini», ha sottolineato in un'intervista al Fatto Quotidiano denunciando in maniera latente la strumentalizzazione a fini politici delle statistiche. «Mi preoccupa molto quando si sbandierano dati positivi dello 0,1% perché poi portano a fare dietrofront il mese dopo», ha aggiunto precisando che i numeri Inps «sono di fonte amministrativa e non statistiche». Il governo, per fortuna, non ha ancora tentato di «addomesticare» l'istituto di statistica anche se le parole di Alleva da più parti hanno suonato come un caveat .

Probabilmente è una polemica tra professori: la nomina di Alleva fu contestata da alcuni docenti universitari che obiettavano sui suoi titoli. Tra questi Luigi Zingales, Michele Boldrin e Tito Boeri che ancora non era stato nominato presidente Inps. E Poletti, con il suo diploma di perito agrario in tasca, vi si è ritrovato in mezzo senza colpo ferire. Gli attacchi non lo scompongono. Provate a prendere una farfalla senza avere a disposizione un retino. Ne sa qualcosa il patron dell'Esselunga, Bernardo Caprotti, che nel suo libro Falce e carrello non lesinò pagine al vetriolo contro la LegaCoop guidata da Poletti. Sui privilegi fiscali concessi alle cooperative il ministro ebbe a dire: «Una spa che dichiara utili per 10 milioni e ha un'aliquota del 34% paga molte meno tasse di una cooperativa che ha un'aliquota del 17% ma che la applica su 100 milioni». Sì, la matematica è il suo forte.

Mirabile la nonchalance sul flop di «Garanzia Giovani», il piano cofinanziato con 1,5 miliardi dall'Ue per facilitare l'ingresso dei ragazzi nel mondo del lavoro potenziando i servizi per l'impiego. Al 31 luglio su circa 700mila iscrizioni hanno ricevuto proposte poco più di 140mila ragazzi, cioè il 25 per cento. Sulla qualità dell'offerta molti hanno da ridire, non il ministro. «Sta migliorando l'occupabilità e poi bisogna spingere alla digitalizzazione le imprese medio-piccole», ha sentenziato.

Mai arretrare, mai avanzare troppo, seguire traiettorie imperscrutabili. Come quelle delle farfalle. È anche in questo modo che Poletti è riuscito a sopravvivere dodici anni alla guida delle cooperative rosse. Certo, la scuola quadri del vecchio Pci lo ha abituato alle esperienze più dure. Ma chi avrebbe scommesso che, dopo lo scandalo della scalata fallita di Unipol a Bnl nel 2005 (con l'uomo di fiducia Giovanni Consorte finito assieme ai «furbetti») sarebbe riuscito a sopravvivere così a lungo? Non solo, Poletti passerà comunque alla storia per aver dato vita all'Alleanza delle Cooperative con le coop bianche di Confcooperative e con quelle dell'Agci. Egli ha compiuto il primo passo verso la centrale unica della cooperazione. Un'esigenza dopo lo scandalo di «Mafia capitale» che ha coinvolto a vario titolo tutto l'universo mondo delle coop che operano nel sociale. C'era anche Poletti nella famosa foto di gruppo di Salvatore Buzzi con Gianni Alemanno e i big del Pd romano. Era il presidente di LegaCoop, era normale che si interessasse a un'affiliata. Al suo ex collega Maurizio Lupi non fu usata la stessa cortesia.

Matteo Renzi queste cose le sa benissimo. Di tanto in tanto gli piacerebbe fare un rimpastino (se non fosse che gli crollerebbe la maggioranza), ma poi si accorge che del suo ministro del Lavoro non può proprio fare a meno. La sua pragmatica esperienza, infatti, gli ha consentito di tenere più o meno a bada il sindacato. Un giorno il bastone («Bisogna smettere di pensare all'imprenditore come a uno sfruttatore»), quello dopo la carota, promettendo ai pensionati (ormai vera ragione sociale di Cgil e affini) che non ci sarà il passaggio tout court al sistema contributivo. Un giorno minaccia gli studenti («Tre mesi di vacanze sono troppi»), quello dopo assicura che la flessibilizzazione dell'età pensionabile non comporterà troppi sacrifici sull'assegno.

Ma questi sono temi dei quali si riparlerà alla ripresa dei lavori parlamentari. Per ora Poletti si gode le meritate vacanze sul suo camper Trigano in quel di Pinarella di Cervia: sole, mare e liscio con l'orchestra Casadei. Al suo fianco, come sempre, la moglie Anna Venturini. Anche lei è operativa: è assessore e consigliere comunale in quel di Castel Guelfo, in provincia di Bologna. Tra la Via Emilia e il West si cresce a pane e politica. Da ragazzino Giuliano Poletti faceva il chierichetto, ma si occupava anche di diffondere l'Unità ai militanti del Pci. A Matteo è piaciuto anche perché l'ex bersaniano fu il primo a stringergli la mano a Imola due anni fa durante il suo tour elettorale per la segreteria. Fra pochi giorni saranno di nuovo assieme al meeting di Cl.

Leggeri, leggiadri, vaghi come le farfalle.

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