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Oriana e il governo del Cav: "Tenete duro contro il jihad"

L'ex Guardasigilli Castelli rivela: "Mi chiamava anche di notte, volevano arrestarla"

Oriana e il governo del Cav: "Tenete duro contro il jihad"

«Mi raccomando tenga duro». È la prima volta che l'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli racconta il rapporto con la grande scrittrice Oriana Fallaci. Lunghe telefonate, molto frequenti («mi avrà chiamato cento volte»), a tutte le ore, anche nel cuore della notte («chiamava da New York, lì era giorno ma qui magari erano le due, mi tirava giù dal letto»), nei mesi in cui la Fallaci preparava i suoi bestseller e Castelli era il Guardasigilli del governo Berlusconi (2001-2006). «Un giorno mi chiama Urbani (allora ministro dei Beni culturali, ndr ), e mi dice: “C'è una persona che vorrebbe parlare con te a patto che la cosa resti assolutamente riservata”. Era la Fallaci. Da lì in poi ci siamo sentiti costantemente, fino alla sua morte». La scrittrice, sotto attacco per le sue dure (e a leggerle oggi, profetiche) posizioni sull'islam (il Corano paragonato al Mein Kampf di Hitler), i rischi del fondamentalismo in casa nostra e la resa dell'Europa al buonismo suicida («Che senso ha rispettare chi non rispetta noi?»), si documenta a fondo, chiede al ministro statistiche sull'immigrazione, su reati e detenzioni, sulla legge Bossi-Fini, sull'Europa che in quei mesi mette a punto la direttiva sui reati di «razzismo e xenofobia», col carcere per chi offende, ad esempio, la comunità islamica. Un'arma per mettere al bando opinioni scomode come quelle, appunto, della Fallaci. Il ministro italiano si oppone, a Bruxelles, ponendo il veto all'introduzione di questi reati di opinione, e beccandosi l'accusa di razzismo da giornali e sinistra. La Fallaci, invece, segretamente, contatta più volte Castelli e raccomanda di non demordere.

«Al Consiglio dei ministri europei - racconta l'ex Guardasigilli - spiegai la nostra contrarietà alla direttiva contro il razzismo proprio in seguito ad un rinvio a giudizio di Oriana Fallaci per vilipendio della religione islamica. A dimostrazione che col reato di razzismo si entrava nel campo minato della libertà di pensiero...». Una delle decine di denunce prese dalla Fallaci, in tutta Europa, promosse da associazioni islamiche ma non solo. A partire dalla Francia del Je suis Charlie , dove nel 2001 viene querelata per «incitamento all'odio razziale e alla discriminazione» da ben tre associazioni, il «Movimento contro il razzismo e per l'amicizia fra i popoli», la «Lega contro il razzismo», e la «Lega dei diritti dell'uomo» (processo archiviato, ma per un vizio di forma nella denuncia). Nel 2003 è la Svizzera, dopo l'esposto di alcune associazioni tipo «SOS Racisme», a chiedere all'Italia di aprire un procedimento penale nei confronti della Fallaci, richiesta respinta dal ministro della Giustizia.

E in Italia? C'è la fila per portare la Fallaci in tribunale. Obiettivo centrato dall'«Unione Musulmani d'Italia» di Adel Smith, che la fa rinviare a giudizio a Bergamo (processo chiuso per la morte della Fallaci nel 2006). Negli altri casi la denuncia si ferma grazie ad un articolo del codice penale (il 313) che assegna al ministro della Giustizia il potere di autorizzare la procedibilità per alcuni reati di opinione. «Io li ho negati tutti - racconta l'ex ministro - perché ritenevo che nei libri della Fallaci ci fosse una fortissima critica ma nessun vilipendio. E l'ho fatto sempre, con tutti, non solo con lei. Ma noi del centrodestra eravamo da soli a difendere la Fallaci, che la sinistra considerava invece una razzista».

Nelle cronache di quei giorni, a parte qualche rara eccezione, a sinistra è tutto un prendere le distanze dall'«islamofoba» Fallaci, sotto processo e sotto una pioggia di denunce. Il Consiglio comunale (monocolore Ds) della sua Firenze boccia la mozione di solidarietà per la scrittrice. Quando il Comune di Milano le assegna l'Ambrogino d'oro, l'allora leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti si gira schifato: «Un premio ad una personalità che ha contribuito ad esacerbare il conflitto di civiltà è un danno. Sarebbe come assegnare il Nobel per la pace a chi fa la guerra». Per Nichi Vendola la Fallaci rappresenta «la sintesi populistica di una concezione militare dell'Occidente che ha causato lo sviluppo del fondamentalismo». E quando Papa Benedetto XVI la riceve in udienza, la prossima ministra Livia Turco (Ds) storce il naso: «Avrei preferito che come prima italiana avesse incontrato un'altra persona». Al telefono con Castelli, invece, la Fallaci raccomanda una legge sui clandestini «molto più severa della Bossi-Fini», rievoca di continuo un'immagine che la riempie di rabbia, gli immigrati che fanno pipì sui muri di Santa Croce a Firenze. Ma lo chiama infuriata quando la Lega diffonde alcuni suoi scritti («Non ci provate a strumentalizzarmi»).

Dura, intrattabile, temeraria, libera, profetica.

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