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Il ricatto del Sultano: chiede alla Merkel 3 miliardi per i profughi

In Turchia negoziati per frenare l'esodo verso l'Europa. Il premier di Ankara: "I siriani non resteranno qui per sempre"

Il ricatto del Sultano: chiede alla Merkel 3 miliardi per i profughi

È partita a sorpresa domenica per cercare di porre un freno all'ondata di profughi che rischia di travolgere il suo governo. A Istanbul Angela Merkel ha cercato una sponda nell'alleato-avversario Recep Tayyip Erodgan per porre un argine all'esodo siriano verso la Germania. Così facendo, la cancelliera ha però rimesso in gioco un «sultano» poco amato in Occidente e ha riaperto un dossier annoso: quello dell'adesione della Turchia all'Ue. Se è vero che alcune migliaia di siriani hanno preso la via del mare per la Grecia, incamminandosi poi verso la Germania attraverso i Balcani, è altrettanto vero che dallo scoppio della guerra civile in Siria sono ormai 2,5 milioni gli sfollati siriani che hanno trovato rifugio nella confinante Turchia. Subissata dalle critiche degli alleati bavaresi della Csu e da un buona metà del suo stesso partito (la Cdu) per le braccia aperte ai profughi, Merkel ha proposto a Erdogan uno scambio: tu fermi il fuggi-fuggi verso la Germania e io alleggerisco l'emergenza umanitaria in Turchia, accogliendo non i profughi che bussano alla mia porta ma quelli già registrati nei campi gestiti da Ankara; in cambio ti assicuro il mio sostegno per farti entrare in Europa. Una promessa difficile da mantenere anche per «la prima della classe» dell'Ue: fra i grandi la Francia è nettamente contraria e fra i piccoli Cipro opporrà il proprio veto fintanto che Ankara continuerà a occupare la metà settentrionale dell'isola. Erdogan dal canto suo non ha avuto problemi ad accogliere una cancelliera in difficoltà, alla quale ha anzi riservato un trono d'oro per l'incontro a due con la stampa. Uscito da una sonora sconfitta elettorale lo scorso giugno, il sultano ha convocato elezioni anticipate per il prossimo 1 novembre. La tappa della cancelliera a Istanbul rappresenta un endorsement per un leader che, da quando ha represso la rivolta di Gezi Park (2013) col pugno di ferro, riceve poche visite di ospiti occidentali. Se Merkel piange sotto le critiche del centrodestra – e dell'associazione dei Comuni tedeschi che ha denunciato gravi difficoltà logistiche nel gestire l'enorme flusso di richiedenti-asilo – Erdogan non ride: non ha vinto le elezioni, è in guerra con i curdi e con l'Isis, il suo Paese è sconvolto dal terrorismo e metà degli elettori crede che la mano delle stragi sia guidata proprio da lui. Molto irritato con la cancelliera è per esempio il partito progressista e filo curdo Chp, premiato dai turchi lo scorgo giugno: «Merkel non ha chiesto un incontro né con noi né con nessuno dell'opposizione, dando l'impressione di partecipare alla campagna elettorale», ha lamentato il leader Kemal Kilicdaroglu. Erdogan ci ha anche messo del suo: in queste ore ha spento 7 canali tv satellitari ostili al suo partito Akp mentre il tribunale di Istanbul spiccava l'ennesimo mandato d'arresto per «attentato alle istituzioni» a carico dell'autoesiliato imam Fethullah Gulen, acerrimo nemico del sultano. Consapevole che Angela non potrà mantenere quanto promesso, Erdogan ha preferito puntare all'abolizione del visto turistico per i turchi in viaggio nell'Ue e all'aumento a 3,5 miliardi di euro degli aiuti promessi dall'Ue per gestire i campi profughi allestiti lungo il confine turco-siriano. Rientrata a Berlino con molte promesse e pochi risultati, Merkel ha anche dovuto ascoltare le parole della capogruppo della Csu al Bundestag secondo cui «l'adesione della Turchia non è all'ordine del giorno»; quindi ha dovuto far rimbrottare dal proprio portavoce il capo del sindacato di polizia DpolG secondo cui l'unico modo per fermare i profughi è costruire un bel muro sul confine con Austria.

Ciliegina sulla torta, lunedì il premier turco Davutoglu ha affermato che il suo Paese «non è un campo di concentramento» e che non ospiterà i profughi siriani per sempre.

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