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A 72 anni Lula sfida la giustizia e il ridicolo. Dalla cella si candida a (ri)guidare il Brasile

Condannato a 12 anni per corruzione, si propone come leader del Partito dei Lavoratori. È la legge che glielo permette e lui è già sicuro di vincere

A 72 anni Lula sfida la giustizia e il ridicolo. Dalla cella si candida a (ri)guidare il Brasile

Lula, il galeotto più celebre dell'America latina, è da ieri il candidato ufficiale alla presidenza del Brasile del PT, il Partito dei lavoratori da lui fondato nel 1980. Lula, oggi 72enne, aspira dunque a tornare alla guida del Paese del samba, incarico già ricoperto tra 2003 e 2010 quando diventò famoso in Italia soprattutto per avere negato l'estradizione dell'ex terrorista Cesare Battisti, l'ultimo giorno del suo mandato. Era il Capodanno del 2010 e quel giorno fu finalmente chiaro anche agli italiani di area ex Pci - a cominciare da Napolitano che per perorare l'estradizione di Battisti gli aveva scritto un'accorata missiva - che Lula fa sempre ciò che vuole, anche quando apparentemente non ha nessun senso.

E in effetti la candidatura alla presidenza dal carcere è qualcosa di inconcepibile, se vista con i parametri del diritto penale, civile e financo elettorale a cui si è abituati in Italia. «Come è possibile che Lula possa candidarsi dal carcere?» si chiedeva del resto qualche settimana fa il direttore di Panorama, a cui avevo inviato una cronaca fattuale della privilegiata vita dell'ex presidente, prevedendo proprio quanto accaduto ieri, ovvero l'imminente ufficializzazione della candidatura alla massima carica del Paese del samba di «Lula Escobar», come lo chiamano i suoi stessi carcerieri per i privilegi di cui gode.

Sia chiaro, Lula si candida perché può. Nonostante corruzione e riciclaggio lo abbiano portato ad una condanna a 12 anni in appello che dal 7 aprile scorso sta scontando nel carcere della Polizia di Curitiba, la città dove la Mani Pulite brasiliana è iniziata 4 anni e mezzo fa evidenziando una corruzione endemica. Ben più grave dei 12 anni da scontare, tuttavia, è che Lula sia anche il principale imputato in altri sei processi, compresi quelli sulla corruzione transnazionale di Odebrecht in Africa e America latina e sulle tangenti miliardarie di Petrobras. A detta degli esperti rischierebbe un secolo di galera ma, visto che in Brasile i ricorsi sono infiniti, l'ex sindacalista che ne ha già fatti ben 79 tramite i suoi legali è ancora sicuro di partecipare e vincere le presidenziali del prossimo ottobre.

La legge di Brasilia, del resto, glielo consente. A dimostrazione basti pensare che nel Paese sudamericano esistono parlamentari che, pur dormendo in cella per scontare pene di corruzione, hanno il permesso della Corte Suprema per andare in Parlamento da mattina a sera a votare e proporre le nuove leggi anti-corruzione per il Brasile del futuro.

È il caso del deputato carioca Celso Jacob, dello stesso partito del presidente in carica Michel Temer, o dell'onorevole Joao Rodrigues, un altro galeotto già ufficialmente candidato alla rielezione dal suo partito socialdemocratico.

Il Tribunale elettorale supremo ha tempo per valutare l'ammissibilità della candidatura Lula sino a metà settembre e potrebbe anche decidere di dargli l'ok, sospendendogli le pene in caso di sua vittoria per tutta la durata del prossimo mandato (2019-2022).

In Brasile del resto tutto è possibile.

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