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Le 8 bugie di Fini sulla casa: dal valore ai veri proprietari

L'ex leader di An provò a difendersi con risposte deboli Dopo anni ecco le prove che dimostrano le sue panzane

Le 8 bugie di Fini sulla casa: dal valore ai veri proprietari

P arlava di «ossessiva campagna mediatica» Gianfranco Fini in quell'autunno di sette anni fa. Si difendeva attaccando anche quando, dopo mesi di silenzio dall'inizio dello scandalo della casa di Montecarlo, s'era finalmente deciso a parlare. Rispondendo al Corriere, non al Giornale. Forse un riflesso pavloviano lo spingeva a omaggiare i salotti che all'epoca gli strizzavano l'occhio tagliandogli addosso un abito da eroe antiberlusconiano. Lo sforzo di chiarire la «sua verità» produsse otto risposte, improbabili già all'epoca, imbarazzanti oggi, quando i misteri e le omissioni su quell'affaire stanno svanendo grazie all'inchiesta sull'asse Corallo-Tulliani che ha raso al suolo anni di balle finiane.

1 Il primo «chiarimento» di Fini riguardava la valutazione dell'appartamento (450 milioni di lire), e già la prima indagine della procura di Roma stabilì che era sballata al ribasso.

2 Fini sminuì il valore dell'immobile, «fatiscente» secondo la sua segretaria e l'ex tesoriere del partito Donato Lamorte, e quindi «inabitabile senza cospicue spese di ristrutturazione». Spese che la magistratura ha spiegato essere state coperte da Corallo, uno dei tanti «benefit» garantiti dal re delle slot alla family dell'ex leader di An.

3 Fini negava l'esistenza di altre offerte. Ebbene, già nel 2010 il Giornale raccontò, tra le altre, di un'offerta di 1,5 milioni di euro, regolarmente rifiutata. Ma nessuna offerta «vera» sarebbe stata accettata: l'acclarata volontà era svendere sottocosto la maison nel Principato al cognato di Fini, tramite una schermatura di società offshore curata dallo stesso Corallo (che pagherà tra l'altro di tasca sua anche la costituzione delle società offshore). Altro che «inspiegabile coincidenza», come sospirava il povero senatore ed ex tesoriere di An Francesco Pontone per giustificare il perché l'appartamento fosse finito a Tulliani Jr.

4 Il quale, nel quarto punto dei «chiarimenti» di Fini, avrebbe in realtà dovuto avere un ruolo di mediatore nella vendita. Forse un tentativo di scaricare sul cognato la responsabilità, proponendosi sin d'allora come ingenuo (autopromosso più recentemente a «coglione»).

5 Sul quinto punto - la congruità dell'offerta di 300mila euro - c'è solo da ribadire che persino i pm che riservarono a Fini una rapida archiviazione definirono il prezzo tre volte inferiore al valore di mercato.

6 Come sesta risposta ai dubbi, Fini ebbe il coraggio di dire che la «giusta battaglia» nel nome della quale la contessa Anna Maria Colleoni donò la casa ad An «consisteva nel rafforzamento del partito» con i soldi incassati dalla vendita. Pochi, pochissimi, come già detto. E tra l'altro per la magistratura arrivati da Corallo e provenienti da un delitto, l'evasione del Preu, il prelievo unico relativo alle slot, del 2006. Giustissima battaglia.

7 Quanto al «non sapere assolutamente nulla» della Printemps e della Timara, beh, possiamo informare il caro ex leader che gli inquirenti romani definiscono sua moglie Elisabetta «titolare delle società offshore Printemps Ltd, Timara Ltd e Jayden Holding Ltd» insieme al fratello, e che pure l'ignaro Fini che nulla sa - fatta salva la presunzione d'innocenza - è indagato per riciclaggio insieme al parentame.

8 All'ottavo e ultimo punto Fini ammise di aver saputo che Giancarlo viveva lì «in locazione» (e l'inchiesta ha provato che il contratto di affitto era fittizio e di copertura) proprio da Elisabetta, e di aver espresso «sorpresa e disappunto». Come è noto, Elisabetta ha firmato procure ad avvocati per vendere quella casa, della quale era di fatto comproprietaria, e ha intascato metà del prezzo di vendita, quello sì «congruo» (poco meno di un milione e mezzo di euro).

Quanto alla sorpresa di Fini, l'ex delfino di Almirante dovrebbe spiegarci come mai in un cassetto di un comodino a casa sua gli inquirenti durante una perquisizione hanno trovato la email di Luciano Garzelli, pubblicata mercoledì dal Giornale, nella quale il costruttore monegasco la cui azienda si è occupata di ristrutturare l'appartamento (pure quello con i soldi di Corallo, secondo i pm) minaccia Giancarlo Tulliani di spifferare quello che sa ai pm che indagavano. Compresa la presenza di un «noto personaggio» che a luglio del 2010 dormiva in quella casa insieme ad Elisabetta.

Il tempo ha cancellato le panzane raccontate da Fini, una perla dopo l'altra.

Forse sarebbe ora di provare a dire la verità.

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