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Abituarsi a un 2016 sull'ottovolante

Meglio rassegnarsi all'ipotesi più probabile. E meno allegra. E cioè che per tutto il 2016 il mercato azionario non darà grandi soddisfazioni

Abituarsi a un 2016 sull'ottovolante

Meglio rassegnarsi all'ipotesi più probabile. E meno allegra. E cioè che per tutto il 2016 il mercato azionario non darà grandi soddisfazioni. Come sintetizza al Giornale un veterano di Piazza Affari si può dire che «se nel corso del 2015 ogni ribasso sostanzioso dei mercati rappresentava un'occasione per acquistare, nel 2016 ogni rialzo decente degli indici sarà un'occasione per vendere». In queste prime sedute dell'anno, nove fino a ieri, l'indice FtseMib di Milano ha ceduto il 7,5%, la metà esatta di quanto aveva guadagnato nei 365 giorni del 2015. E non è un caso isolato: il Dax di Francoforte, la Borsa continentale più importante, ha perso quasi il 9% cioè l'intero bottino guadagato nel 2015. Il motivo è presto detto e si compone di due elementi: il primo è che la ripresa economica tanto attesa nel 2015 non è arrivata con la forza e la velocità con cui era attesa. Le Borse, che anticipano i movimenti dell'economia, hanno quindi scontato al rialzo una crescita che si è rivelata inferiore e più debole delle aspettative. Ora, chiusi i conti del 2015, va in onda la grande correzione. Inoltre, secondo motivo, le tensioni geo-socio-politiche, aumentate esponenzialmente di livello negli ultimi due mesi, cominciano ad avere un peso: pensare che una moderna «terza guerra mondiale» non abbia alcun effetto sui risparmi degli occidentali comincia a rivelarsi una speranza infondata. In questa brutta situazione generale i mercati si comportano come sanno fare meglio: impazziscono come la maionese ad ogni scossone, anche di scarsa intensità. Avviene così con il petrolio, la cui discesa dei prezzi ormai in atto da mesi, di tanto in tanto, manda il tilt le Borse; avviene con i listini asiatici, in correzione dall'estate scorsa, ma sempre buoni per giustificare qualche vendita di massa; e avviene a maggior ragione con qualche episodio più originale, come quello capitato ieri: sul fusto già indebolito dal dieselgate Volkswagen, si innestano con estrema facilità notizie negative - false o vere che siano, poco importa - come quelle di ieri sulle vendite gonfiate in Usa da parte di Fca o sulle perquisizioni antifrode avvenute in Francia alla Renault. In condizioni normali, tali eventi possono muovere titoli che capitalizzano decine di miliardi per qualche punto percentuale. Ieri hanno fatto oscillare i rispettivi titoli del 10 e del 20%. Si chiama più tecnicamente «volatilità» ed è il virus che ha contagiato il mercato per questo 2016. Conviene abituarsi e tenere i nervi saldi.

Anche perché la nostra Borsa, Piazza Affari, è quella che sulla carta rischia di ballare di più: essendo composto per lo più da banche, ed essendo queste sotto scacco per i 200 miliardi di sofferenze in crescita e per l'entrata in vigore del meccanismo del bail in, il listino milanese promette di restare sull'ottovolante molto a lungo.

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