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Addio don Riboldi, anti camorra senza proclami

L'aiuto agli sfollati del Belice. Poi la lotta alla criminalità ad Acerra evitando di apparire

Addio don Riboldi, anti camorra senza proclami

Prete dei terremotati, prete anti camorra, prete di strada. Proprio come vorrebbe Papa Francesco: sacerdote con l'odore delle pecore, vicino agli ultimi e ai bisognosi. È morto a Stresa (in Piemonte) nella casa dei rosminiani, all'età di 94 anni, monsignor Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra, diocesi che guidò dal 1978 al 2000. A darne l'annuncio la Curia di Acerra. Don Antonio, come era conosciuto, è ricordato per essere stato punto di riferimento dei cittadini durante le tragiche fasi del terremoto del Belice, quando nel 1968 un sisma fortissimo colpì la zona della Sicilia occidentale.

Ma soprattutto Don Riboldi sarà ricordato per essere stato tra i primi sacerdoti anti camorra, una camorra che combatteva in strada, nel silenzio, senza clamori e senza proclami nei mezzi di comunicazione. «Attento fin dal primo momento alla vita e ai problemi di ogni giorno delle persone, l'azione più impegnativa per complessità e per durata è il contrasto alla camorra», scrive in una nota la Curia di Acerra, nella cui cattedrale si terranno i funerali martedì.

«Profondo, indelebile è il legame che unisce la Chiesa acerrana al suo don Antonio si legge ancora nella nota - tanto da associare ancora oggi la città al nome del suo vescovo emerito. Legame rimasto tale anche dopo la rinuncia del presule all'esercizio episcopale per limiti di età nel dicembre del 1999, tanto da scegliere di rimanere a vivere in città continuando a celebrare Messa nella Chiesa dell'Annunziata, e da dichiarare più volte pubblicamente la volontà di essere seppellito in Cattedrale».

Don Antonio, nato a Tregasio, in Brianza, avrebbe voluto insegnare, ma mentre progetta una carriera accademica, lo spediscono a fare il parroco nel cuore della Sicilia, a Santa Ninfa, valle del Belice. Qui resterà per 20 anni, attraversando il momento più critico del terremoto. Diventa il punto di riferimento e la speranza per quella gente. Grida forte contro i soccorsi mancati e contro chi ruba sulla pelle dei poveri, contro le mafie che si insinuano in ogni angolo. Di quel tempo dirà: «Era scomodo portare in giro il nome Riboldi. Mi piovevano addosso insulti, insinuazioni, sospetti. Chi è questo prete? Cosa vuole? Perché non la smette?».

Nel 1978 Paolo VI lo trasferisce ad Acerra, nel napoletano, diocesi da 12 anni senza guida. Terra di camorra e di povertà estrema. Lo Stato gli assegna la scorta. Rimarrà famosa una frase che disse a sua mamma, in occasione della storica marcia che negli anni Ottanta portò migliaia di giovani ad Ottaviano, città del capo indiscusso Raffaele Cutolo. «Meglio ammazzato che scappato dalla camorra», disse. E in occasione dei suoi 90 anni, nel Duomo di Acerra, aggiunse: «In quel momento mi sono sentito veramente di essere un vescovo, e ho capito cosa significava essere un prelato che deve amare la gente anche se non ricambiato, amare la Chiesa anche se non tutti capiscono».

Fu da subito attivo nel rianimare la vita ecclesiale di Acerra e nel sostenere l'intera comunità. Organizzava annuali convegni diocesani che richiamavano illustri relatori: arrivò anche il cardinale Carlo Maria Martini. Aperto alle novità tecnologiche, fu tra i primi vescovi a sbarcare su internet nel 1997: le sue omelie erano lette da centinaia di migliaia di persone. Fondò il sito www.vescovoriboldi.it che poi trasformò in newsletter.

Messaggio di cordoglio per la scomparsa di Riboldi è arrivato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ne ha ricordato «l'attività a favore della solidarietà sociale e l'impegno per la legalità, in aperto e coinvolgente contrasto con la criminalità organizzata».

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