Politica

Addio Postal Market, amato da mamme e figli

Il catalogo alimentava i sogni consumistici e quelli erotici degli adolescenti

Ornella Muti sulla copertina di Postal Market
Ornella Muti sulla copertina di Postal Market

Qualcuno ha ancora, tra i cimeli in soffitta, un catalogo della Postalmarket? Lo raccolga con cura, lo spolveri con amore e lo riponga in cassaforte. Da ieri è un pezzo da collezione, roba grossa, da esibire agli amici datati nelle serata di nostalgia. L'azienda ha chiuso definitivamente, fallita, senza una lira, un euro, una faccia.

Così ha deciso il tribunale di Udine, accogliendo l'istanza dell'amministratore straordinario del gruppo Bernardi che, nel duemila e tre, aveva rilevato il gruppo con il progetto di rilanciarlo sul mercato delle vendite on line, supportato dai francesi de La Redoute, consolidati nel settore. Ma la casa non aveva ormai più le fondamenta ed è crollata sui debiti.

Finisce, dopo cinquantasei anni, l'avventura di una azienda nata da un'idea e dai denari di Anna Bonomi Bolchini. La quale aveva intuito il grande successo di Carosello, la «réclame» televisiva dopo la quale i bambini andavano a nanna. Quella pubblicità andava «realizzata», sarebbe stato interessante dunque offrire ai telespettatori, al secolo clienti, quei prodotti illustrati in tivvù ma poi fotografati e messi assieme e catalogati, per la vendita in un mercato virtuale ma vero, spediti per posta, puntuali nella consegna, «con Postalmarket sai, usa la testa, e ogni pacco che arriva è una festa».

La vendita per corrispondenza tuttavia non dava garanzie certe a un popolo abituato a Totò-truffa e affini, penne stilografiche fasulle, ombrelli sbilenchi. Sarebbero poi arrivati i televenditori ma il boom degli anni Sessanta fece crescere negli italiani, improvvisamente benestanti, il desiderio di acquistare, qualunque cosa avesse il profumo dell'America, lavatrici, asciugacapelli, lampade, sedie, abiti da lavoro, maglie, maglioni, camici e camicie, calze, indumenti intimi.

E qui cascava l'asino, perché noi maschietti, nel momento della crescita, scoprimmo il luna park casalingo: rubavamo alla mamma il catalogo fregandocene delle lavastoviglie e dei ventilatori, meglio le guepieres, i reggicalze, i reggiseni, roba da farci venire ciechi mentre sfogliavamo le pagine senza interessarci al costo dell'articolo, preferendo, senza alcuna incertezza, il contenuto al contenitore. Era un Playboy casereccio, come sbirciare dal buco della serratura un mondo tutto di donne affascinanti.

Tempi belli, prima di essere invasi dai giornali per soli uomini (o uomini soli), Postalmarket era l'isola del tesoro per i nostri genitori e dei sogni per gli sbarbati del tempo. Le copertine erano riservate alle vip dell'epoca, direi Vanoni, Di Lazzaro, Cindy Crawford, Brooke Shields, Carol Alt, la Muti, bellissime e acchiappanti il pubblico femminile e non soltanto, adulti, bambini, militari.

Il resto fu comunque un affare che portò a cifre colossali, Postalmarket arrivò a fatturare 600 miliardi con oltre 45mila spedizioni giornaliere, chi voleva acquistare un prodotto sceglieva quel percorso, in attesa dei supermercati che avrebbero strozzato le botteghe e i cataloghi.

Vennero poi anni aspri, crisi di occupazione, cassa integrazione, esuberi, Postalmarket passò di mano, i tedeschi del colosso Otto Versand portarono la ditta al funerale fino a quando un salentino di nome e cognome Eugenio Filograna, provò a rilevare il pacchetto azionario di maggioranza inventandosi l'ecommerce, preparando l'arrivo in Borsa. Il tentativo si esaurì tra scandali e banche al collasso. Inutili gli ultimi sforzi di tenere in vita un castello senza stanze, internet, Amazon e tutto il resto dei mercati on line hanno spedito al macero una fetta della nostra adolescenza. Come Cucciolo e Tiramolla, il catalogo di Postalmarket resta l'ultimo sogno di giorni lontani.

E poi, non ci sono più i reggicalze di una volta.

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