Politica

Come Agrigento ha vissuto il caso Diciotti

La città dei templi si è improvvisamente ritrovata al centro di uno dei casi più spinosi degli ultimi anni. Tra l'inchiesta aperta dalla procura e le parole del suo arcivescovo, Agrigento per giorni è stata sotto il mirino della stampa nazionale e non solo.

Il tribunale di Agrigento
Il tribunale di Agrigento

(Da Agrigento) Il via vai continuo e frettoloso di persone in giacca e cravatta, che sfidano le alte temperature dell’agosto siciliano, i rumori continui del metal detector posto all’ingresso della struttura, al pari del brusio costante nell’atrio, sono elementi che fanno costantemente da sottofondo nella quotidianità del tribunale di Agrigento.

L’edificio che ospita gli uffici della procura è recente, inaugurato poco più di un decennio fa. Ha sostituito il vecchio tribunale, lo stesso dove Rosario Livatino dalla sua finestra che dava su piazza Gallo ha coordinato numerose inchieste antimafia sul finire degli anni ’80. Il clima in queste ore, sia all’interno che nell’attigua via Mazzini, è lo stesso di sempre e la vita nel tribunale prosegue senza molti scossoni. Eppure questa struttura, posta nella periferia nord della città dei templi, ospita quello che al momento è l’ufficio più “chiacchierato” d’Italia. Al quinto piano vi è infatti la stanza del procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio. Da lì sono partite le carte più “calde” dell’attuale panorama giudiziario e politico. L’inchiesta avviata dalla procura sul caso della nave Diciotti, ha da subito attratto una forte attenzione mediatica: prima l’indagine contro ignoti per sequestro di persona, poi il viaggio a Roma di sabato dello stesso Patronaggio, infine l’indagine diretta contro il ministro dell'Interno Matteo Salvini. È da qui che è partito tutto: il clamore mediatico, le polemiche politiche, gli scontri tra partiti e tra intere fette di opinione pubblica nazionale.

Basta scendere le scale del Tribunale e, proprio di fronte, appare il colle dove si sviluppa gran parte dell’agglomerato urbano di Agrigento, centro storico compreso. Sulla destra si scorge subito la cattedrale, imponente struttura con più di ottocento anni di vita. Anche questo edificio ha fatto discutere parecchio in questi ultimi giorni e non, come si potrebbe pensare, per i ponteggi che ricordano a tutti il pericolo frane che incombe in quella zona. Agrigento dal 2001 è sede arcivescovile, nel 2015 il suo arcivescovo ha ricevuto la berretta cardinalizia. Il cardinal Montenegro, nella città dei templi dal 2008, anche in qualità di presidente della Caritas italiana ha pesantemente tuonato contro la gestione del caso Diciotti. Da sempre vicino alle posizioni di Bergoglio, anche le parole di Montenegro sono rimbalzate in diversi media nazionali.

In poche parole, a distanza di pochi chilometri e posti quasi uno di fronte all’altro, Agrigento ospita due edifici da più di una settimana al centro di uno dei casi politici e mediatici più spinosi per il nostro Paese. L’improvvisa attenzione piombata sulla città dei templi appare quasi surreale: gran parte dei fatti si sono svolti a Catania, ma è ad Agrigento che si trovano le stanze da cui è partito tutto.

Anche per questo forse la città dei templi vive con consueta normalità queste frenetiche ore: politici e manifestanti nei giorni scorsi sono stati a Catania, ma tra l’azione della procura agrigentina e le parole del cardinale Montenegro, le attenzioni su quanto trapelato da Agrigento sono rimaste costanti.

I cittadini appaiono incuriositi dal fatto di essersi ritrovati nel bel mezzo del caso Diciotti. Qui l’opinione pubblica locale sembra avere gli stessi orientamenti di quella nazionale. La gente si divide tra chi appoggia l’operato di Salvini e chi invece quello del procuratore, così come si trovano cittadini preoccupati dal problema della sicurezza e gente che, nella giornata di sabato, è andata a Catania per la manifestazione anti razzista tenuta al porto etneo. Non è difficile pensare però che nella città dei templi sono più coloro che virano verso Salvini, rispetto a chi difende Patronaggio. La città nelle ultime regionali e nazionali è stata feudo del Movimento Cinque Stelle, ha contribuito enormemente a rinfoltire le fila della pattuglia grillina siciliana a Montecitorio, ma anche lo stesso Salvini ha avuto un certo seguito quando è sceso all’ombra dei templi durante le recenti campagne elettorali.

Del resto, da queste parti l’opinione pubblica è fortemente influenzata da quanto accaduto nella scorsa estate. Gli sbarchi fantasma nel 2017, susseguitisi al ritmo di almeno uno al giorno durante la bella stagione, hanno alimentato nella popolazione il disagio nella percezione della sicurezza. Quando in almeno due occasioni gruppi di tunisini hanno preteso di entrare senza biglietto all’interno dei vagoni dei treni per Palermo, gli agrigentini hanno iniziato per davvero a provare diffidenza verso il fenomeno migratorio. Prima di allora non ci sono mai stati grossi problemi, nonostante il territorio provinciale è di fatto l’ultima frontiera prima dell’Africa. Si spiega forse così l’orientamento attuale della città in merito ad un caso che, in pochi giorni, l’ha proiettata al centro delle cronache nazionali.

Ma forse la verità è anche un’altra. Mentre tutta Italia guardava a quei due edifici, il tribunale e la cattedrale, da cui sono fuoriusciti atti, fatti, dichiarazioni e parole che hanno orientato il corso del caso Diciotti, Agrigento guardava altrove. Sono molti i problemi di chi vive qui per poter permettersi di volgere lo sguardo verso il tribunale o verso la cattedrale.

Da alcune stanze di Agrigento si è decisa la sorte di un importante caso nazionale, ma qui la gente aspira unicamente alla risoluzione di atavici casi e problemi locali. E non è azzardato parlare del fatto che, da qui a breve, non solo il caso Diciotti ma l’intera tematica riguardante l’immigrazione non sarà più in cima alle priorità dei cittadini.

Ad Agrigento come nel resto d’Italia.

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