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Allarme sulla ripresa: così non basta

Elezioni e fine del QE spaventano gli analisti stranieri. L'Italia resta fanalino di coda

Allarme sulla ripresa: così non basta

La ripresa che non c'è. Nonostante i proclami ufficiali l'economia italiana stenta a ritornare a marciare. E nonostante la recente serie di numeri a sostegno di una visione rosea per la nostra economia snocciolata dagli istituti statistici, dall'estero arrivano segnali d'allarme.

Giovedì da Londra il Financial Times evidenziava come l'Italia sia uno dei pochi Paesi a non essere ancora ritornato ai livelli di benessere del 2007, mentre ieri a sollevare punti interrogativi sul nostro futuro è stata l'americana Cnbc secondo cui «la terza economia europea sta causando mal di testa feroci agli investitori e lo scenario può persino peggiorare» a causa del debito pubblico stellare, dei livelli elevati si sofferenze e dell'avvicinarsi delle elezioni. Per gli osservatori esteri l'Italia è, in definitiva, il «maggior rischio alla stabilità economica dell'euro zona, nonostante alcuni indicatori economici siano risultati superiori alle stime di mercato».

E, in effetti, qualche segnale di ripresa c'è, ma di certo non basta. Ieri, ad esempio, l'Istat ha evidenziato una crescita dell'inflazione dello 0,1% a luglio che porta l'incremento da inizio anno all'1,1%, un dato in crescita ma comunque lontano dall'obiettivo del 2% indicato da Mario Draghi, governatore della Bce. «Nulla più della persistente bassa inflazione indica la insufficiente vitalità dell'economia e della società italiana. È come se un tappo continuasse a comprimere la propensione a consumare, ad investire e a fare lavoro» sostiene Maurizio Sacconi, presidente della Commissione lavoro del Senato. «Quanto al futuro la giuria è ancora riunita» commenta Fabio Fois di Barclays che, pur apprezzando i dati relativi alla produzione industriale di giungo (+1,1%), rileva come sia stato determinate l'impatto dell'energia più che della crescita del manifatturiero.

Il raffronto con gli altri Paesi è chiaro: l'Italia rimane il fanalino di coda dell'Unione Europa. Il prodotto interno lordo, nonostante gli accenni di lenta risalita, è ancora inferiore del 6,2% rispetto a quello vantato da Roma nel 2007. Tanto per dire, nello stesso arco temporale la Cina ha più che raddoppiato il proprio livello di benessere. E, per quanto le previsioni di Pil siano oggi positive, l'Italia continua a crescere alla metà del ritmo vantato dagli altri Paesi europei. Lo dicono le stime della Bce secondo cui nel 2017 il Pil tricolore aumenterà dello 0,9%, mentre nel 2018 la crescita si attesterà intorno all'1,1%: un dato che potrebbe sembrare incoraggiante se non fosse che la media dei Paesi europei presenta tassi di miglioramento già oggi doppi (+2,1%).

Lo stesso Fmi a fine luglio, pur avendo rivisto al rialzo le stime (all'1,3%), prevedeva il ritorno del Pil ai livelli pre crisi non prima della metà del 2025 e parlava di «rischi significativi sulla ripresa italiana» determinati ne dall'incertezza politica, dall'arresto del processo di riforme, dalla fragilità finanziaria dovuta agli oltre 356 miliardi di crediti deteriorati custoditi dalle banche italiane e dalla difficoltà per Roma a sostenere i livelli stellari di debito una volta che la Bce avrà messo la parola fine al quantitative easing. «Lo spread potrebbero aumentare con l'avvicinarsi delle elezioni politiche» nota Joachim Fels economista di Pimco.

Non è un caso che le banche italiane ed europee stiano vendendo a piene mani Btp.

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