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Un altro caso per Trump L'ambasciatore in Israele: «Andrò a Gerusalemme»

Il presidente eletto nomina un falco vicino alle posizioni dei coloni in Cisgiordania

Un altro caso per Trump L'ambasciatore in Israele: «Andrò a Gerusalemme»

New York Non accennano a fermarsi le polemiche sulle nomine della nuova amministrazione di Donald Trump. Questa volta la bomba è scoppiata nel cuore del Medio Oriente, con la scelta del falco David Friedman come prossimo ambasciatore in Israele. Il futuro diplomatico ha fatto infiammare gli animi già con la prima dichiarazione, dicendo che non vede l'ora di iniziare il suo incarico e lavorare «all'ambasciata americana nella capitale eterna di Israele, Gerusalemme»: parole che confermano l'intenzione del presidente in pectore di trasferire la sede da quella attuale di Tel Aviv.

La mossa rischia di ibernare il processo di pace e scatenare il conflitto nella regione, visto che anche i palestinesi rivendicano Gerusalemme come capitale del loro futuro Stato. Trump ha spiegato in una nota che Friedman «è un amico di lunga data e un fidato consigliere»: «Le sue forti relazioni in Israele costituiranno le fondamenta della sua missione diplomatica e saranno uno straordinario asset per il nostro Paese - ha aggiunto - mentre rafforzeremo i legami con gli alleati e ci batteremo per la pace in Medio Oriente».

L'avvocato, specializzato nei casi di bancarotta, è vicino alle posizioni di estrema destra e nei mesi scorsi ha detto di non opporsi alle attività di insediamento da parte di Israele nei Territori occupati, che non considera illegali. Inoltre, a suo parere, gli ebrei che appoggiano la soluzione dei due Stati sono «peggio dei kapò». Friedman è già stato consigliere del tycoon durante la campagna elettorale per gli affari Usa-Israele, e ha promesso di «lavorare instancabilmente per rafforzare l'indistruttibile vincolo tra i due Stati e far avanzare la causa della pace nella regione». Un obiettivo che potrebbe risultare particolarmente difficile da raggiungere con il trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme.

All'inizio di dicembre il Commander in Chief uscente Barack Obama aveva firmato una nuova proroga semestrale per la sede diplomatica statunitense a Tel Aviv, atto che costituisce una consuetudine dai tempi della presidenza di Bill Clinton. Secondo il Jerusalem Embassy Act, approvato dal Congresso americano nel 1995, l'ambasciata dovrebbe spostarsi da Tel Aviv a Gerusalemme, definita nel provvedimento «capitale indivisibile» di Israele. Ma sino ad ora tutti i presidenti hanno emanato dei decreti esecutivi bloccando di fatto l'entrata in vigore della legge, una decisione considerata necessaria per non compromettere il processo di pace. Trump, invece, aveva già annunciato la sua ennesima rivoluzione durante la campagna elettorale, promettendo di spostare la missione.

«Soddisfatto» per la scelta di Friedman è il premier Benyamin Netanyahu, secondo quanto rivelato da fonti vicine al primo ministro, citate dai media. «La sua nomina è una buona notizia per Israele, le sue posizioni riflettono la volontà di rafforzare lo status di Gerusalemme come capitale», ha commentato da parte sua il viceministro degli esteri (di cui ha l'interim Netanyahu) Tizi Hotovely. A suo parere, le posizioni di Friedman mostrano «comprensione per il fatto che le colonie non hanno rappresentato, né mai né oggi, il problema centrale della regione». Esultano anche i coloni: «Una buona notizia, si tratta di un sostenitore entusiasta degli insediamenti», ha detto Oded Raviv, il responsabile dei contatti esteri dei coloni all'emittente del movimento, Canale 7.

Di tutt'altro avviso gli esponenti della leadership palestinese, secondo cui la nomina è un segnale allarmante e distruggerà il processo di pace.

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