Politica

Altro che curriculum Poletti e compagni al top con il partito delle coop

Nella rossa Emilia avere la tessera Pd è la base per fare carriera. Il ministro era del Pci

L a sua prima tessera è stata quella del Pci, a 25 anni, in piena età da curriculum. L'ultima, del Pds. Non gli è servito prendere anche quella del Pd, perché nel frattempo la carriera dell'allora diplomato agrario oggi ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva già spiccato il volo. Lui sui «campi di calcetto» del partito, quelli che ha maldestramente consigliato di frequentare ai giovani disoccupati anziché perdersi a mandare curricula, ha costruito la rete di «rapporti di fiducia» (copyright del ministro) che in un ventennio l'hanno portato dai banchi del consiglio comunale di Imola a quelli della Provincia di Bologna passando per la segreteria locale del Pci, fino ai vertici di Legacoop e infine a quelli di governo. Ieri la polemica per l'ennesima gaffe del ministro sul binomio giovani-lavoro non si era ancora placata, con la sfilza di richieste di dimissioni e la bagarre in Senato della Lega.

Un percorso, il suo, iniziato nel cuore rosso dell'Emilia, dove pulsa il legame tra sinistra e cooperative, e simile a quello dei tanti dirigenti della filiera Pci-Pds-Ds-Pd, che attraverso il doppio filo che cuce politica e mutualità hanno agganciato incarichi e scalato posizioni a livello locale o nazionale. Poltrone intercambiabili nel viaggio partito-coop andata e ritorno. Dove spesso non è il curriculum che prova le competenze. Funzionario del Pci, da cui uscì all'età di 30 anni, è stato Claudio Levorato, il potente presidente di Manutencoop che fattura oltre un miliardo e ha 18mila dipendenti. Lui, che siede in sette consigli di amministrazione ed è finito indagato in diverse inchieste, ha recentemente dichiarato che «la Legacoop è un'organizzazione politica, fatta di imprese con gruppi dirigenti che perseguono sempre più spesso i propri interessi». Pierluigi Stefanini, presidente di Unipol Gruppo Finanziario, confida ad Antonio Amorosi in Coop Connection, «di aver preso il diploma da ragioniere per diletto». Uno sfizio, visto che era già arrivato ai vertici della finanza, dopo un passato da «dirigente di punta del Pci di Bologna dal 1978 al 1990». Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo Spa, controllata dalla coop Granlatte Scarl, è stato sindaco Pci-Pds del comune bolognese di Monzuno. Adriano Turrini, oggi presidente di Coop Adriatica, ha iniziato nel 1974 in un negozio dell'allora Coop Emilia Veneto, è stato poi consigliere comunale e funzionario Pci. Fino ala presidenza di Coop Costruzioni, oggi fallita. Perché, in fondo, «nelle coop - scrive Amorosi - puoi passare dal vertice di un colosso edile a una holding del consumo come se fosse la cosa più naturale del mondo». Un regno dove si può «trasformare un nullafacente in un sindaco, un politico in un presidente di una holding, un cooperatore in parlamentare, se non in un ministro». Spazi di potere. O più semplici parcheggi per avere «un buono stipendio».

Negli intrecci ricostruiti da Amorosi, ci sono casi come quello di Rita Ghedini, richiamata da Legacoop Bologna per la presidenza, dopo una parentesi in Senato col Pd. Nella stessa associazione come direttore nel 2014 arriva Simone Gamberini, consigliere provinciale dei Ds, per dieci anni sindaco di Casalecchio sul Reno. C'è il caso di Forte Clò, con un diploma da insegnante, ha agguantato un posto nel cda del colosso multiutility Hera, dopo essere stato assessore in Provincia a Bologna. Claudio Merighi, capogruppo dei Ds nella stessa città, nel 2010 lavorava per Coop Costruzioni. Prima del crac. Infine, Matteo Lepore, assessore nella giunta Merola. Era stato responsabile Area sviluppo di Legacoop. È laureato.

E nel 2007 ha conseguito anche un Master in relazioni internazionali.

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