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Altro che depresso, era il classico frustrato cronico

Sempre in lite con gli altri. E ormai il rancore gli graffiava l'anima

Altro che depresso, era il classico frustrato cronico

Bastano un muro che ti annebbia l'orizzonte della carriera, problemi di salute un giorno sì e uno pure, i soldi che non sono mai abbastanza a coprire l'ampiezza dell'ego, un fallimento amoroso di troppo a giustificare la scelta di una morte col botto, se è un botto che brucia altre 149 vite? Non c'è nulla nel catalogo delle umane possibilità che basti a giustificare questa ingiustizia.

Ecco perché in circostanze del genere si chiamano in causa gli aruspici della psiche, i sacerdoti dell'impossibile cui abbiamo delegato il mestiere di sfogliare la margherita delle nostre inconsistenze. Ma il piano della diagnosi psichiatrica, quando si tratta di disturbi comportamentali, è davvero scivoloso e sfuggente, anche se questo non può giustificare il buco nero nella rete di valutazione di chi ci porta a spasso nei cieli. In attesa di una diagnosi col senno di poi, resta l'esperienza a dirci a quale tipo umano apparteneva Andreas Lubitz. Non quello del depresso, disturbo serissimo e invalidante che gli avrebbe probabilmente impedito di mettersi ai comandi di un aereo per anni. Quel dirottatore di se stesso era chiaramente un frustrato cronico, una tra le categorie peggiori che sia dato di incontrare nell'esperienza di chi frequenta quotidianamente i luoghi di lavoro.

Il collega frustrato cronico è un essere malinconico che è jattura dell'ufficio in cui il caso maligno lo ha imprigionato, ma è sempre genio altrove, in un altrove cui, sempre per colpa del destino infame ovviamente, mai arriverà. Eppure si ostina a raccontartelo giorno dopo giorno nei dettagli, come una meta sempre alla portata, ma sempre preclusa da colpe altrui.

Il collega frustrato non si accontenta di soffrire in silenzio dell'inadeguatezza del suo presente: lui deve spargere la peste nera del pessimismo, instillare nelle orecchie di chiunque lo circondi il veleno della zizzania senza se e senza ma. È uno Iago del disfattismo, un Nerone delle possibilità. E dei colleghi più giovani che ne possiedono troppe più di lui. Non bisogna però confondere: nella vita di qualunque azienda di ingiustizie vere ce ne sono a iosa. Chi se ne lamenta spesso ha ben donde.

Ma il tipo umano cui pare appartenere Lubitz è diverso: in fondo lui era ancora giovane, le foto lo ritraggono mentre si allena, dunque presumibilmente era fisicamente sano, le nebbie della sua psiche non dovevano essere poi così paralizzanti, altrimenti non avrebbe potuto fare il pilota per anni. La sua frustrazione doveva essere quella di chi nemmeno ci prova a raddrizzare le ingiustizie e, soprattutto, vede in ogni sua lacuna un torto subito da altri.

Per uno così, i colleghi, i capi, i clienti, e dunque i passeggeri, sono nemici. Nient'altro che mercenari al soldo dell'Ingiustizia, cospiratori del complotto che giorno dopo giorno lui, e solo lui, si vede ordire attorno. Non sorprende che si svegliasse da sogni disturbati, urlando, come racconta la fidanzata, che preannunciasse gesti clamorosi. Non ripetono sempre così gli eterni frustrati: «Un giorno ve la farò vedere io?».

Tutti, chi più chi meno, conoscono l'insoddisfazione. Tutti, chi a ragione chi a torto marcio, la subiscono anche per colpa altrui. Ma di solito, chi si imbatte in questa insidiosa sensazione se ne sbarazza reagendo, battendo strade diverse, procurandosi un hobby o un amante. O anche solo rassegnandosi, rinunciando a combattere. Il frustrato cronico no.

Lui corre contro corrente ogni giorno restando immobile. Ma intanto fa girare vorticosamente la macchina mortifera del suo rancore.

C'è anche chi poi lo rielabora per riciclarlo in teoria della società, naturalmente da predicare e affermare come verità assoluta per redimere gli stolti che non riescono a vedere come la propria inadeguatezza sia sempre figlia dell'ordine costituito (costoro non sospettano che esista la possibilità dell'autocritica).

Il frustrato cronico è fastidioso, è una macchia scura nella giornata di chi è costretto a conviverci, e fa rabbia perché è sempre persona dotata di ogni strumento utile a raggiungere il successo. Di più: è uno che potrebbe fare tutto, ma non lo fa, perché in fondo preferisce lamentarsene. E rivalersi sporcando l'altrui serenità. Se gli psichiatri, partendo da questa base, capissero qual è la scintilla successiva, quella che porta all'esplosione della violenza, renderebbero un grande servizio all'umanità.

E, dando una spiegazione, ai parenti di quelle 149 vittime, ne allieverebbero forse un poco l'atroce sofferenza.

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